Duecento anni d’America in città
Il console generale Benjamin V. Wholauer ci racconta il bicentenario (e non solo)
Il nome d’America, si sa, è stato scelto in onore del navigatore fiorentino Amerigo Vespucci. Non stupisce, dunque, che la prima sede consolare in Italia degli Stati Uniti d’America sia stata in Toscana. La prima sede fu nel 1794 a Livorno, un porto franco, libero da tasse e gabelle. Nel 1819 il toscano Giacomo Ombrosi divenne il vice-console degli Stati Uniti a Firenze che fu affiancato da un Console americano. Oggi, in occasione dei 200 anni da quella data, incontriamo il suo successore, Benjamin V. Wohlauer.
Cosa significa per lei essere Console Generale a Firenze?
È un grande onore. Sono l’ultimo (anche se spero non l’ultimo!) di una lunga serie di consoli che hanno rappresentato il governo e la comunità americana che svolge da più di 200 anni un ruolo molto importante qui in Toscana. Posso dire che la concentrazione degli americani nella regione è molto forte e costituisce un vero e proprio ponte per lo sviluppo e il rafforzamento delle relazioni bilaterali Italia-Usa.
Oggi cosa ama di questa città di cui è Console?
L’opportunità di vivere invece di visitare, ammirando con la quiete necessaria siti, opere d’arte. Nell’ultimo anno e mezzo ho avuto l’opportunità di capire il popolo e la cultura fiorentina, ma anche quella Toscana e dell’Emilia-Romagna, di cui sono ugualmente Console.
Soltanto turisti ?
Il flusso turistico è molto elevato, ma lo è anche la concentrazione degli studenti americani (circa 10/15.000 studenti ogni anno). Secondo le stime, gli americani che hanno scelto di vivere in Toscana si aggirano intorno ai 50/60.000. Anche la presenza economica non è da meno, sono più di 70 gli investitori che hanno deciso di investire qui, recentemente ho scoperto che nel Chianti ci sono molte aziende gestite da americani - Banfi e Ruffino sono tra le più conosciute - e molte aziende sono state riportate sul mercato grazie agli investimenti americani. Tra le aziende più conosciute: il Nuovo Pignone ed Eli Lilly.
La prima città nella quale arrivarono gli Americani fu Livorno, vero?
Il primo consolato americano si stabilì a Livorno nel 1794. Venne chiuso nel 1941 a causa della guerra e non fu mai più riaperto, ma quest’anno vogliamo far riemergere la storia di questa esperienza condivisa molto profonda. E per farlo abbiamo scelto di porre in evidenza il valore dei legami personali. Il rapporto che celebriamo è basato sui milioni di legami personali stretti nel corso del tempo fino a oggi, a partire da quello tra Thomas Jefferson e Philip Mazzei, di Poggio a Caiano.
“Rapporti personali”, chi ricorda volentieri dei personaggi americani che hanno vissuto qui?
Nell’Ottocento gli artisti e gli intellettuali che vivevano oltreoceano sceglievano Firenze come meta per la loro formazione artistica. Tra i più celebri, forse direi Henry James e Mark Twain. Un altro nome che mi viene in mente è Bernard Berenson e la cosa più interessante fu che decise di rimanere a Firenze, con le sue opere d’arte, durante la Seconda guerra mondiale.
Quali saranno le iniziative per i due secoli di presenza a Firenze?
Per il nostro “Memorial Day”, al Cimitero americano, come ogni anno si terrà una giornata di commemorazione e raccoglimento, mentre a Palazzo Vecchio, verrà ospitata una mostra dedicata ai disegni architettonici delle nostre sedi. Ad aprile, poi, avremo la possibilità di celebrare questa nostra presenza con una mostra d’arte contemporanea americana.
Qual è il suo primo ricordo della città?
La mia prima volta fu nel 1991; studiavo in Francia e ne approfittai per andare a trovare un amico che studiava arte a Firenze. È una città meravigliosa, che sbalordisce in tutti i sensi. Credo che al mondo ce ne siano poche così...
Se dovesse proporre un itinerario dove porterebbe un suo concittadino?
Firenze è come Boston, dove sono nato… Adoro fare passeggiate in città e forse lo accompagnerei nella mia preferita, da Costa San Giorgio a piazzale Michelangelo.