Ytalia
Uno degli appuntamenti estivi più attesi della stagione dell’arte contemporanea a Firenze
La mostra YTALIA. Energia Pensiero Bellezza si configura come uno degli appuntamenti più attesi della stagione dell’arte contemporanea a Firenze. Una mostra collettiva che si articola a partire da giugno in numerosi luoghi chiave della città, dalla sede principale di Forte di Belvedere fino a Palazzo Vecchio, coinvolgendo anche i Giardini di Boboli, Palazzo Pitti, il Museo Novecento, il Museo Marino Marini, la basilica di Santa Croce, gli Uffizi. Un percorso espositivo integrato ideato e curato da Sergio Risaliti, che intende mettere in relazione elementi simbolo della città rinascimentale con l’opera dei maestri italiani del secondo Novecento tra cui Giovanni Anselmo, Marco Bagnoli, Domenico Bianchi, Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Nunzio, Mimmo Paladino, Giulio Paolini e Remo Salvadori.
Pur presentando poetiche e linguaggi dissimili, gli artisti di YTALIA sono accomunati dalla riproposizione di categorie visive e simboliche ricorrenti, che costituiscono un panorama concettuale ed estetico condiviso da generazioni diverse.
Giovanni Anselmo (Borgofranco d’Ivrea, 1934), sin dagli anni Sessanta propone una ricerca incentrata sulla materia e sulle forze che la plasmano, impiegando elementi organici o inorganici, materiali eterogenei per natura e provenienza, principalmente attraverso il linguaggio della scultura. Il fine della sua opera è quello di evidenziare la vitalità e l’energia insita negli elementi, materializzando le forze, statiche e dinamiche, che li abitano.
Il lavoro di Marco Bagnoli (Empoli, 1949) si concentra sul rapporto fra arte, scienza e spirituale, declinandosi ora in complesse installazioni ambientali, ora in azioni simboliche, sempre coniugando l’uso di molteplici mezzi espressivi, come disegno, pittura, stampa o scultura. Rimandi alle tensioni energetiche degli elementi così come a evocazioni magiche, costituiscono il nucleo di un’opera linguisticamente variegata, ma sempre tesa a sondare il rapporto tra una conoscenza razionale della realtà e una immaginifica.
Nel corso della sua carriera Domenico Bianchi (Anagni, 1955) ha sviluppato una profonda e coerente riflessione sulla pittura, anche attraverso tecniche non convenzionali. Una ricerca che lo ha condotto ad analizzare le qualità intrinseche dei materiali impiegati, da quelli poveri e grezzi come la cera o il legno, a quelli preziosi come il palladio, il platino e l’argento che spesso ricorrono nella sua opera. Un lavoro ridotto a pochi elementi essenziali, costruiti secondo ritmi e moduli geometrici, a ricreare un’astrazione di proporzioni e armonie.
Dopo un iniziale avvicinamento alla temperie poveriste, di cui condivideva l’interesse per materiali extra-artistici e industriali, Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994) ha sviluppato un lessico proprio, di matrice fortemente concettuale, che ha dato vita ad una ricerca eclettica, centrata sulle metodologie di classificazione e sui codici di lettura interni all’opera, sul linguaggio e sulla manipolazione della sua identità, in particolare concentrandosi su concetti come la scissione del corpo e la sua dualità.
Gino De Dominicis ha sviluppato negli anni una ricerca del tutto singolare, con un’opera estremamente eterogenea nei linguaggi - spesso dissacranti ed eccentrici - ma sempre volta ad esplorare tematiche ricorrenti quali il mistero della creazione, la nascita dell’universo, la percezione del tempo, la vita e la morte. L’immortalità è l’aspetto più profondamente indagato dall’artista, spesso attraverso le figure di Urvasi e Gilgamesh, rispettivamente emblemi della cultura indiana e mesopotamica, esempi di maschile e femminile uniti in un unico principio che divengono per l’artista un’immagine archetipica legata all’eternità.
La ricerca artistica di Luciano Fabro (Torino 1936- Milano 2007), è rivolta principalmente all’analisi dello spazio, inteso come dimensione di scambio tra l’opera e lo spettatore, ambiente di relazione tra la realtà esterna e l’interiorità dell’individuo. Sin dalle sue prime opere l’artista ha sperimentato l’uso di nuove iconografie e materiali, tesi a originare nello spettatore inediti coinvolgimenti percettivi e avventure sensoriali. La sua attività è stata sempre accompagnata da un’intensa riflessione teorica, spesso connotata da elementi allusivi e ironici.
Mario Merz (Milano, 1925 -Milano, 2003) sin dagli esordi ha lavorato con elementi archetipici e oggetti simbolici – l’igloo, la serie numerica di Fibonacci, la lancia, la spirale- che hanno dato forma ad un personalissimo universo espressivo e poetico. In particolare è l’igloo l’elemento più noto adottato dall’artista torinese nelle sue opere: una forma autoportante, costruita con materiali disparati quali ferro, iuta, vetro, argilla, un modulo abitativo primario che richiama simboli archetipici come la casa, il mondo, la vita nomade.
Fautore di una ricerca volta ad indagare il rapporto tra arte e realtà, tra natura e cultura, l’artista recentemente scomparso Jannis Kounellis (Pireo, 1936 – Roma, 1917), nel corso della sua carriera ha dato vita ad installazioni articolate, monumentali e spiazzanti, tese alla creazione di una nuova realtà attraverso oggetti e materiali tratti dal quotidiano e reimpiegati con valore simbolico nel contesto artistico. Nelle sue opere abbondano i riferimenti alla classicità e il ricorso ad elementi e materiali metaforici, come gli animali impagliati, il fuoco - connesso all’idea di rigenerazione e trasformazione - o il carbone, la iuta, le pietre, il cotone.
Nùnzio (Cagnano Amiterno 1954) ha condotto una ricerca incentrata sulle possibilità espressive e formali della materia e sulle sue relazioni con lo spazio e con la luce. Gesso, piombo e legno sono materiali d’elezione, di cui Nunzio ha sviluppato oltre a quelle scultoree anche le qualità pittoriche, grazie al processo di combustione e annerimento a cui sottopone la materia lignea. Le sculture di Nùnzio invadono lo spazio, assorbono la luce e riflettono l’interesse dell’artista per la relazione fisica e visiva tra forme e ambiente circostante.
Tra i principali esponenti della Transavaguardia, l’artista Mimmo Paladino (Paduli, 1948) ha realizzato negli anni opere ammantate da un’estetica arcaica, accentuata dall’uso di simboli greco-romani, etruschi e paleocristiani e di tecniche antiche come l’encausto e il mosaico. Influenzato dall’arte primitiva e tribale, dai primi anni Ottanta l’artista si ci è cimentato in enigmatiche sculture, figure totemiche in bronzo, legno o calcare, e numerose installazioni monumentali.
Pur unito da rapporti di amicizia e collaborazione con gli artisti dell’Arte Povera, Giulio Paolini (Genova, 1940), ha condotto negli anni un percorso profondamente autonomo. Lontano dalle contestazioni sociali e politiche del tempo, l’artista fin dagli esordi ha incentrato il suo lavoro su temi legati alla visione, al ruolo dell’artista e dell’osservatore, al tempo e allo spazio dell’opera e della sua rappresentazione, ricorrendo spesso alla citazione o al riduzionismo linguistico.
Remo Salvadori (Cerreto Guidi, 1947), esponente della generazione successiva a quella dell’Arte Povera e dell’Arte Concettuale, porta avanti con coerenza una ricerca incentrata sul rapporto diretto con l’osservatore, in una tensione empatica tra opera, artista e fruitore, che si esplica prevalentemente attraverso il linguaggio della scultura e dell’installazione site-specific.