Galleria Palatina, Vertigini
Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, e la Galleria Palatina
Galleria Palatina. Otto del mattino di quello che non è un martedì qualunque: siamo all’indomani della sfilata della Maison Gucci proprio in queste sale. Ieri sera Barocco al quadrato, apoteosi di perle e broccati rinascimentali, una superba sinfonia di rimandi dove la moda richiama l’arte, l’arte ispira l’avanguardia fashion. Ma questo era ieri… Questa mattina come per un incantesimo è tutto tornato al suo posto: la bellezza è alle pareti e non si muove sinuosa tra le sale sopra una soffice moquette gialla. Spariti lustrini e ospiti glam, per meno di un’ora assaporiamo il silenzio e lo spazio, lussi che posso competere con la mise en scène di ieri sera. Godiamo di un terzo privilegio, ci accompagna nella visita Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi. Lo incontriamo nella Sala di Saturno, vicino alla porta di ingresso della Sala che lascia intravedere la splendida infilata di stanze oltre questa.
Incredibile la quantità di capolavori che racchiude il Piano Nobile di Palazzo Pitti, sede della Galleria: leggere i numeri dei capolavori, scorrere con lo sguardo i nomi degli artisti non è paragonabile alla sensazione di assaporare questi colori densi, questi volti perfetti, la dolcezza della posizione delle mani, l’equilibrio degli arti che tela dopo tela riempiono lo sguardo. Anche il Direttore, che conosce bene questa bellezza, non sembra essersi abituato e mentre ci racconta non toglie gli occhi dai meravigliosi sette Raffaello di questa prima stanza.
Iniziamo proprio da qui: ogni epoca ha il suo idolo e quando fu disposta la creazione della Palatina, star incontrastata del tempo era proprio Raffaello, prima della scoperta di Botticelli e la riscoperta di Michelangelo nel secondo Ottocento.
La collezione di dipinti della Palatina - centrata sul periodo del tardo Rinascimento e del Barocco - è la testimonianza del gusto collezionistico prima della famiglia Medici, a partire da Cosimo II, e poi dei Lorena. A Palazzo Pitti erano conservate anche le straordinarie raccolte di Vittoria della Rovere, sposa del granduca Ferdinando II e ultima erede dei duchi di Urbino, delle quali facevano parte un gran numero di tele di Raffaello e Tiziano.
La razionalizzazione della città portata avanti da Pietro Leopoldo investì anche l’immenso patrimonio pittorico mediceo e stabilì, in maniera approssimativa, che alcune opere significative del Primo Rinascimento e del Rinascimento rimanessero agli Uffizi mentre il resto fu successivamente trasferito alla Palatina, dove la collezione ha continuato ad arricchirsi. La prima apertura al pubblico risale al 1833.
L’allestimento che vediamo oggi rispecchia quasi fedelmente quello originario ed è il più importante esempio in Italia di quadreria barocca, dove i quadri non sono esposti in maniera lineare con criteri sistematici o cronologici, ma anzitutto decorativi, coprendo la maggior parte della superficie della parete in schemi simmetrici. Il direttore ci sottolinea alcuni vezzi puramente ottocenteschi: i quadri disposti con un retrogusto quasi ironico, come se portassero avanti un dialogo privilegiato tra loro, oltre che con lo spettatore. Ci fa notare vicino alla più celebre Madonna di Raffaello, un piccolo putto che sembra voler entrare nella scena che celebra la grazia di Maria con il figlio in collo; spostandosi sulla sinistra notiamo al contrario la Santa Teresa da Lima del Dolci, occhi al cielo che sembra invece volgersi sul lato completamente opposto. Il sipario strappa un sorriso, ma non distoglie l’attenzione dalla Madonna della Seggiola di Raffaello, uno degli ultimi tondi di scuola cinquecentesca tipicamente toscana. Assolutamente catalizzante, in virtù di un perfetto equilibrio di corpi: il Gesù Bambino con le forme morbide e fanciullesche svela con il particolare del gomito il suo ruolo autorevole, quasi a voler mantenere una certa distanza. Lo bilancia la Madre con lo sguardo pieno di Misericordia che attrae e conquista. Il direttore, dopo aver quasi dipinto a parole le emozioni che suscita, sottolinea la bellezza e modernità delle vesti e l’alto contenuto naturalistico del corpo neonato del Gesù.
Un momento di grande poesia, con la luce estiva che filtra dalle persiane accostate e si posa morbida sul dipinto, leggermente inclinato grazie al pannello mobile su cui è montato che rivela un altro uso della corte lorenese: posizionare appunto le opere su supporti mobili per volgerli più facilmente a favore delle fonti di illuminazione del tempo. Tutti i quadri di maggior valore hanno questo tipo di accorgimento.
Sala dopo sala, accompagnati dalle parole di Schmidt, scorriamo i capolavori. Prima della Sala di Saturno, la Sala dell’Iliade, con gli affreschi di Luca Sabatelli e, al centro la Madonna in trono e Santi di Rosso Fiorentino che guarda la statua della Carità educatrice di Bartolini. Una sala femminile che si completa con le due Assunte di Andrea del Sarto e la Gravida di Raffaello. A seguire, accanto a Saturno, le altre sale dei Pianeti: la Sala di Giove o sala del trono, ancora dedicata a Raffaello con il Ritratto di Tommaso Inghirami, quello del Cardinal Dovizi, e la Velata con il suo bellissimo abito, il capo coperto come una Madonna ma con un pendente gioiello che scende dal velo; la Sala di Marte, dedicata al dio guerriero, che rivela il gusto per l’arte nordica della casata Medici e il collezionismo non coloniale ma diplomatico portato avanti anche sotto il Granducato: a destra il Cardinale Bentivoglio di Van Dyck, sull’altra parete I quattro filosofi e I disastri della guerra di Rubens; la Sala di Apollo, dedicata alla giovinezza del principe, nella quale domina il Ritratto Virile di Tiziano capolavoro assoluto dai profondi occhi azzurre; infine la Sala della Venere e la Sala delle Nicchie che contiene la prima collezione statuaria dei Medici. Mentre camminiamo, il Direttore ci rivela il suo progetto: creare un percorso unico con gli Uffizi, in un’impressionante vertigine di bellezza.
Sono le 9, arrivano i primi turisti, distratti e accaldati: sarà troppo tutto questo? No, anche al sublime si può essere educati...