Uno, nessuno e centomila
Istrionico e incontenibile. La storia e i mille volti del grande attore fiorentino Maurizio Lombardi
Energia da vendere e un volto che non si dimentica. Nonostante, come ci racconta e dimostra durante lo shooting realizzato in esclusiva per la nostra intervista, una delle sue passioni sia proprio lavorare su quel volto, “datemi una maschera e posso fare qualsiasi cosa”. Con Matteo Garrone, in Pinocchio, ci ha giocato in maniera estrema, diventando addirittura un pesce - quello che salva Pinocchio e Geppetto nel ventre del pescecane - ma Maurizio Lombardi, fiorentino, uno degli attori più conosciuti e amati a livello internazionale, di trasformazioni ne ha fatte davvero tante nella sua carriera, passando con scioltezza dai panni clericali - “ho percorso l’intera gerarchia: dal monaco medievale ne Il nome della rosa, al prete per Chi m’ha visto, fino al cardinalizio in The Young Pope e The New Pope, mi manca solo di fare il Papa!” - a quelli da manager, per la serie Sky Atlantic di e con Stefano Accorsi 1994, fino a quelli di una strega cattiva con i tacchi da drag queen, nel suo ciclo di spettacoli dedicato alle Fiabe.
Come nasce Lombardi attore?
Ho cominciato con Ugo Chiti, regista toscano, padrino di Nuti, Benvenuti, Athina Cenci e di tutto l’apparato nostrano. Sono entrano nella sua compagnia, l’Arca Azzurra, a 17 anni, e ci sono rimasto per 10 anni. Ancora oggi, a 47 anni, è con lui che ho fatto il mio ruolo più bello: Giovannino, un ragazzo affetto da disturbi mentali, ne I ragazzi di via della Scala. Dopo qualche tempo ho fondato la mia compagnia di giovani attori, con cui ho messo in scena le Fiabe.
Ci racconti qualcosa di questi spettacoli.
Le Fiabe sono un progetto che amo moltissimo. Lo stile è simile a quello di Mel Brooks in Frankestein Junior e dei Monty Python… i bambini sono completamente spiazzati da personaggi come una strega cattiva interpretata da un uomo di due metri. Si divertono tantissimo. E io anche. Perché recitare per i bambini è la cosa più potente che ci possa essere.
Passiamo al cinema.
Il mio primo film fu Up at the Villa (Una notte per decidere), con Sean Penn, Kristin Scott Thomas, Anne Bancroft, James Fox, Jeremy Davies e Derek Jacob. Dopo feci una comparsata in Hannibal di Ridley Scott, con cui ho poi lavorato in maniera più approfondita in All the Money in the World (Tutti i soldi del mondo). Anche una volta cominciato col cinema, però, ho sempre continuato a fare teatro e a scrivere i miei spettacoli, come Pugni di zolfo, che nel 2013 portai a Edimburgo tutto in inglese.
Da quel momento ha recitato spesso in inglese, sia a teatro che sul set…
Ho imparato la lingua completamente da autodidatta, proprio con Pugni di zolfo. Fu un piccolo trionfò, gli scozzesi si ritrovarono molto nel soggetto, che raccontava delle miniere di zolfo siciliane. Recitare in inglese è affascinante, è una lingua autentica e molto veloce, non hai tempo di pensare a cosa dici, senti e basta.
E l’incontro con Sorrentino?
Paolo è un regista incredibile. Il primo incontro fu per un provino per La grande bellezza. Quella volta non vide un ruolo che mi calzasse, o forse non era ancora il momento. Qualche anno dopo feci il provino per The Young Pope, e rimase molto colpito. Le fiches per The New Pope e il famoso balletto del cardinale Assente, me le sono guadagnate con la scena con Jude Law dove mi tolgo gli occhiali. Il giorno in cui la girammo ero terrorizzato, ma al quarto ciak Paolo aveva quello che voleva.
Qualche mese fa ha presentato a Fiesole Tutto&Nulla, che ha scritto insieme al regista Edoardo Zucchetti e con la collaborazione di Giuseppe Scarpato, chitarrista e produttore di Bennato. Che tipo di spettacolo è?
È un one man show, ispirato ai grandi degli anni ‘70/’80, Gigi Proietti, Dario Foe e Giorgio Gaber, i miei tre grandi maestri deputati. È lo spettacolo che ci siamo proposti di fare appena usciti dal lockdown, spinti dell’esigenza di tornare live. Rimaniamo analogici, a essere digitali ci pensano i cellulari.
Dandy fiorentino, da poco sei stato protagonista di un video che Stefano Ricci ha dedicato a Firenze in questo periodo così complicato…
Per un attore lo stile è fondamentale. Occorre individuare il proprio segno, perché è quello a renderti riconoscibile. Parlando poi di stile di abbigliamento, nel caso dell’attore l’abito fa il monaco. E, modestamente, di monaci, preti e cardinali, me ne intendo… (ride). Credo che oggi si trasgredisca di più con un doppiopetto che con una cresta argentata. Dovremmo tornare all’eleganza degli attori degli anni ‘50/’60. Un’eleganza di cui Stefano Ricci è maestro e su cui è giusto puntare anche per questa ripartenza. Girando il suo video mi sono sentito un agente 007: macchine incredibili, vestiti favolosi e i set più belli della città.
A proposito di Firenze, qual è il suo luogo del cuore?
Abito in Oltrarno e sono orgoglioso di questo. Scegliendo però un posto in particolare, scelgo il ponte Santa Trinita, il più bello che ci possa essere, a cominciare dal fatto che è un ponte donna, sia nel nome che nelle sue forme arrotondate. Per me è talmente importante, che in uno dei miei spettacoli, L’uomo rondine, racconto quando durante la ritirata i tedeschi misero cinque camicie di tritolo per buttarlo giù. Solo alla quinta cedette per essere abbracciato dall’Arno, e poi essere ricostruito identico a come era. È il mio luogo, che mi ha aiutato anche durante il lockdown, quando tornando da fare la spesa mi fermavo qualche minuto lì a prendere un po’ di sole.
Nel 2019 ha creato un suo spazio in città dedicato alla recitazione.
L’Acting class, in via dei villani, zona Tasso. Una palestra per gli attori. Non insegno recitazione, perché la recitazione non si insegna, si estrae. Quello che desideravo era che ci fosse un luogo dove esercitarsi e dove poter trasmettere la mia esperienza a questi ragazzi. Questo è fondamentale: il passaggio del testimone. Qui è nato anche il mio primo cortometraggio come regista, Madonne, girato clandestinamente dentro la tramvia di Firenze, un bacio saffico tra due splendide fanciulle. Sto già scrivendo il secondo.
Dove la vedremo prossimamente?
In questo momento sono impegnato in Non mi lasciare, con Vittoria Puccini, per la regia di Ciro Visco. Poi sarò nel nuovo film della regista spagnola Paola Ortiz, con Liev Schreiber, Matilda De Angelis e Sabrina Impacciatore, Across The River And Into The Trees. In programma anche un film per Netflix, Robbing Mussolini, di Renato De Maria. Oltre naturalmente al mio Tutto&Nulla, e alle Fiabe, che vogliamo riprendere appena possibile. Mi sto dedicando anche alla scrittura di nuovi progetti teatrali. Mi sono re-innamorato dell’Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson e del suo grande personaggio, Long John Silver. Non mi dispiacerebbe portare in scena un pirata, dopo tutto, la crew del teatro tradotta letteralmente è la ciurma e il teatro, con le corde da tirare e il legno in terra, ricorda molto una nave, mentre il mare è l’infinito delle emozioni che cerchiamo di portare in scena.