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sandro veronesi

Francesca Lombardi

20 Maggio 2020

Sandro Veronesi. Riflessioni dopo il lockdown

Nessuno cambia da solo: la lezione di Prato e la necessità di un mondo diverso

Un suo articolo del 21 marzo sul Corriere della Sera portava la storia di una Prato diversa in prima pagina. La riflessione di Sandro Veronesi (scopri la lettura dell'autore toscano in esclusiva per noi) era iniziata da una foto di un autore anonimo che girava in rete: una coda lunghissima e perfettamente geometrica presa dall’alto di fronte a una Esselunga della città.“La prima cosa che viene in mente, vedendola -– commentava Veronesi nel pezzo - è Golconda di Magritte”.

La foto simbolo del lockdown in Italia scattata a Prato da un amico di Sandro Veronesi

Ma oltre Magritte e l’inquietudine dettata anche dal momento storico, Veronesi ci rivelava l’ orgoglio per la sua città che, data come  spacciata all’inizio della pandemia per la cospicua presenza di cinesi, proprio dalla comunità cinese aveva imparato una lezione di grande rispetto e senso civico.

Il Colibrì, l'ultimo e struggente libro di Sandro Veronesi

E era riuscita a metterla in pratica in tempi brevissimi. L’articolo si  chiudeva dicendo: “Comunque vada a finire questa faccenda quando sarà finita Prato, pur rimanendo uguale, sarà una città diversa. E se lo sarà Prato, potrà esserlo l’Italia intera”

Oggi che abbiamo alle spalle l’apice della pandemia abbiamo chiesto a Sandro di darci una sua visione degli scenari futuri, per capire se questa diversità percepita durante il lockdown e dettata soprattutto da paura e incertezza diventerà un nuovo comune modo di sentire noi e gli altri  

Il Covid-19 ci sta portando verso un nuovo corso, in cui viviamo un'emergenza sociale ed economica, grandi cambiamenti nel quotidiano, ma anche una riscoperta dei valori umani. Come vede questo nuovo mondo che si sta affacciando?

Per il momento siamo ancora tutti traumatizzati dai due mesi di quarantena e non è possibile fare previsioni su come ognuno di noi si comporterà quando il trauma sarà riassorbito. Ammesso che si riassorba completamente. Di sicuro, i cambiamenti che auspico, in me stesso innanzitutto e però anche negli altri, dovranno derivare da scelte precise e consapevoli, e non dal condizionamento per la difesa dal contagio. Sento esprimere propositi, intorno a me, e alcuni li faccio miei, riguardo al recupero di una maggiore naturalità della vita, un minore ricorso ai comportamenti che sappiamo tossici (andare meno in macchina, andare meno in aereo, camminare, recuperare la lentezza), ma tra questo e una loro effettiva messa in pratica quando potremo di nuovo scegliere ce ne corre. Di sicuro, sarà necessario un movimento collettivo: nessuno si salva da solo, viene ripetuto, e nessuno cambia da solo. Ma per adesso non c’è nessun nuovo mondo all’orizzonte, solo il collasso di quello vecchio.  

Quali sono le difficoltà e le opportunità che vede per quanto riguarda la cultura? 

Anche qui, è presto per dirlo. Posso auspicare un equilibrio diverso tra offerta e fruizione, una diversa distribuzione del pensiero e delle opere, facendo tesoro delle soluzioni alternative che il lockdown ci ha costretto a trovare rispetto al sistema tradizionale. Anche qui, minor ricorso allo spostamento fisico e maggiore utilizzo delle forme private di contatto a distanza, con internet, e.book e audiolibri più rilevanti di quanto lo fossero prima. Senza tuttavia rinunciare agli eventi pubblici importanti, alla fisicità e alla materialità della trasmissione della cultura. Un mutamento dei mezzi, e soprattutto della proporzione tra essi, per trovare vie di fuga dalla pandemia, in primis, ma anche, in seguito, delle forme permanenti di presenza e di vicinanza che sfruttino meglio le opportunità che la tecnologia ci offre. Ma si tratta anche qui di auspici e propositi vaghi, ancora troppo condizionati dai divieti, che ora rendono obbligatorie certe scelte. Di sicuro ci vorrà coraggio, e siccome la cultura è anche industria, ci vorrà coraggio imprenditoriale, investimenti, e, per parte pubblica, la messa a disposizione di infrastrutture potenti per poter dare a tutti le stesse opportunità, e non soltanto a una parte della popolazione. Perché altrimenti il fossato che divide il mondo della cultura da quello che ne fa a meno si allargherebbe in maniera molto pericolosa.  

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