Rocco De Santis del Santa Elisabetta di Firenze
All’interno dell’Hotel Brunelleschi, 7 fortunati tavoli possono vivere un'esperienza gourmet da sogno: scopriamola insieme allo Chef!
È un curriculum lungo e vario quello di Rocco De Santis, chef salernitano classe 1979, approdato all'Hotel Brunelleschi di Firenze nel 2017, dopo numerose esperienze sparse in giro per il mondo.
Nei suoi piatti ritroviamo le ispirazioni mediterranee che ha sperimentato da Gennaro Esposito con cui ha lavorato a lungo e a più riprese; la precisione delle tecniche di stampo francese apprese soprattutto a Vonnas da Georges Blanc; la lavorazione della carne e in particolare della selvaggina che ha approfondito in Svizzera al ristorante Domaine de Châteauvieux, 2 stelle Michelin. Ogni esperienza lo ha portato a confrontarsi con cucine e filosofie diverse, e lo ha aiutato a dar vita a piatti elaborati e creativi, ma soprattutto autentici.
A raccontarci la sua storia e quella dei suoi piatti è stato lo chef in persona, che abbiamo incontrato una mattina di ottobre al Tower Bar dell'Hotel Brunelleschi.
Dove è nata la tua passione per la cucina?
È nata quasi per gioco, fin da piccolo a casa mia a Penta di Fisciano, un piccolo paese in provincia di Salerno, ci si radunava tutti in cucina per preparare pranzi e cene insieme. La passione per questo mondo, alimentata anche da alcuni amici appassionati di cucina, mi ha portato a iscrivermi alla scuola alberghiera, e da lì è stata un'escalation di esperienze e incontri che mi hanno condotto fin qui.
Quali sono state le esperienze che ti hanno segnato di più?
Senza dubbio quella con Gennaro Esposito alla Torre del Saracino, lì ho iniziato a capire che c’era tutto un altro modo di cucinare e approcciarsi al cibo. Da lì ho capito che volevo puntare ad arrivare solo in posti che mi permettessero di crescere. Sono stato all'Hotel Eden di Roma, dove per la prima volta ho sperimentato la ristorazione della grande hôtellerie; poi sono andato in Francia da Georges Blanc che è stata l’esperienza della vita. Una cucina e un'organizzazione perfetta che ricalcava perfettamente la mia idea maniacale di ordine e pulizia da ogni punto di vista. Sono andato in Svizzera al ristorante Domaine de Châteauvieux, 2 stelle Michelin, dove ho imparato a lavorare bene la carne, in particolare la selvaggina, e anche i fondi e le salse. Dopo essermi fatto un bel bagaglio di esperienze all'esterno sono tornato in Italia al Byblos Art Hotel di Verona come Junior Souschef, un’esperienza super formativa. Da lì ho fatto tante altre esperienze, finchè nel febbraio 2017 sono arrivato al Santa Elisabetta.
La prima esperienza come Executive Chef?
Il ristorante Vistamare dell'Hotel Fogliano a Latina, dove ho preso 1 stella Michelin.
Come sei arrivato al Santa Elisabetta?
Nel febbraio 2017 ho ricevuto la chiamata dell’Hotel Brunelleschi, che all’epoca gestiva anche il Principe di Piemonte. La struttura aveva già tutte le caratteristiche per fare un bel lavoro, mancava solo una squadra, un gruppo di persone che potessero dare una bella spinta al lato food, e così è stato! È stata una challenge bellissima, le 2 stelle sono già un grande impegno, lavoriamo bene sia a pranzo che a cena, abbiamo 7 tavoli prenotati e una lista di attesa sempre lunga. Ma non ci fermiamo, questo è solo il primo traguardo!
Il primo piatto da chef che ti ha convinto e dato soddisfazione?
La triglia in crosta di pane, l’ho elaborato quando ero capo partita da Gennaro Esposito, ci sono molto affezzionato e ce l'ho sempre in carta anche adesso. È una triglia sfilettata, ricomposta e racchiusa in un pane allo zafferano. È un piatto che richiama la cucina campana ma abbiamo aggiunto un guazzetto alla livornese. Mi legano a questo piatto anche delle ragioni affettive: quando chiudevo il ristorante e lo portavo a casa, mia figlia lo mangiava con le mani come fosse uno snack, lo chiamava panino-pesce perché sembra un po' un panino.
Il piatto toscano che ti ha conquistato fin da subito?
Appena arrivato mangiavo sempre il Lampredotto, a pranzo e a cena. Inizialmente ho anche racchiuso i profumi del lampredotto in un raviolo, è stato un bel gioco, molto apprezzato dai clienti.
Quanto è importante per te la stagionalità? Un piatto da assaggiare in questo autunno?
Cerchiamo sempre di seguire la stagionalità, per rispetto nei confronti dei clienti ma anche perché cerchiamo di avere un certo cambio di ingredienti. Il primo cambio di menù avviene spesso tra la stagione estiva e quella invernale. Adesso abbiamo inserito il tartufo, i funghi, i primi cavoli, qualche cima di rapa, la zucca, e abbiamo iniziato a dare maggiore spazio alla selvaggina, con l’inserimento dell’anatra, del cervo e presto inseriamo anche la quaglia.
Ti affidi a dei fornitori di fiducia?
Ho una filiera importante, per ciascuna categoria di prodotti ho dei fornitori di fiducia. In determinati periodo dell'anno cerco il pesce buono a San Vincenzo, in altri chiedo il gambero rosa in Versilia, in altri la triglia di scoglio a Livorno. Lo stessa vale per la carne. Questo è importante perché facilita il nostro lavoro, utilizzo sempre prodotti di stagione e mi confronto tanto con i miei fornitori. Così riesco a gestire tutto con loro e ordinare quello che mi può servire per tempo.
Un dolce che piace a tua figlia?
Mia figlia stravede per il tiramisù, durante il mio giorno libero facciamo merenda insieme e lo assaggiamo sempre in posti diversi. È un dolce amatissimo, che abbiamo in carta anche al Santa Elisabetta. Qui poi abbiamo un top player della pasticceria, il nostro pasticcere Francesco De Padova, è molto stimolante lavorare con lui, ha una conoscenza scientifica della materia, dal salato al dolce, che ogni volta mi stupisce e incuriosisce.
Un luogo di Firenze dove ti rifugi?
Durante l’estate mi piace andare verso il Piazzale Michelangelo e la Basilica di San Miniato a Monte, ma anche vivere un po' i rooftop e i ristoranti che sono un po’ più in alto.
I tuoi ristoranti preferiti?
In città ci sono tanti luoghi che adoro e che sono diventati un po' casa: I Maledetti toscani per mangiare un panino con il lampredotto o una schiacciata; Melaleuca per un buon avocado toast. Per mangiare una buona pizza senza dubbio Giotto, mentre per assaggiare la cucina tipica Trattoria Sostanza e Trattoria Coco Lezzone. La Trattoria dell’Oste, invece, è perfetta per mangiare una buona bistecca alla fiorentina.
Il piatto più campano che hai adesso nel menù?
Tra i primi piatti i Bottoni che sono della pasta cotta fondente in farcia di provola, che richiama il raviolo caprese, con una bietola in guazzetto di seppie all’inzimino. Per preparare un piatto cerco di mixare sempre i sapori di casa con tutti i profumi che ho incontrato durante le mie esperienze in giro per il mondo e che mi hanno influenzato.