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Paolo Virzì

text Giovanni Bogani
photo Angela Lo Priore

5 Febbraio 2020

Paolo Virzì racconta Livorno

Un viaggio autentico attraverso hi dove è nato e cresciuto il regista livornese

Poco più di vent'anni anni fa con un piccolo film conquistava una signora neozelandese. Lei era Jane Campion, presidente della  giuria alla Mostra del Cinema di Venezia, lui Paolo Virzì regista di Ovosodo (1997), film senza attori professionisti, girato per le strade di Livorno. Da allora Virzì è uno dei pochi registi che sa raccontare sia la provincia che la capitale, i poveri e i poveri, i borghesi e i proletari, che sa fare film di successo commerciale e insieme impegno civile. Parliamo con lui, Paolo Virzì, un livornese speciale, dei luoghi dove è nato e cresciuto.

Quanto ti senti toscano e quanto livornese?

Livorno non è propriamente Toscana. E’ una invenzione dei Medici nell’epoca moderna, è un meticciato da colonia penale. Come certe città americane, del resto. Però, da livornese esule, col tempo credo di avere intessuto un legame sempre più profondo con l’ampio e fascinoso territorio che sta intorno a quel nostro adorato e detestato centro sociale sul mare. Complice certa letteratura, e certo cinema. 

Tre personaggi davvero importanti  per te nella Livorno del ‘900. Da Carlo Azeglio Ciampi  a Piero Ciampi, il cantautore che faceva a pugni con la vita e regolarmente perdeva.

Un livornese per nascita e per elezione poetica, del quale sono molto fiero d’esser concittadino, è senz’altro Giorgio Caproni. E poi proverei a fare anche il nome di un certo Amedeo Modigliani, livornesissimo anche nel tempo dell’esilio parigino. Poi ci sono i cantanti, i calciatori, e anche quelli che disegnano graffiti sui muri. Come Zeb, che ha scritto: “so’ vent’anni che mi sembra di parla’ co’ muri”. Poi è sparito e nessuno sa più dove sia. 

Come rispondi quando danno per scontato che una persona nata in Toscana sia spiritosa, e magari ti dicono “tu fai ridere, con quello spiritaccio toscano, anche quando sei serio”?

Che i toscani siano sempre simpatici è ovviamente un luogo comune. Forse anche un po’ sciocco. Siamo anche la patria del Pacciani, conosciuto come il mostro di Firenze, la sua vicenda ha dato gli spunti a Richard Harris per scrivere Hannibal. Siamo patria di gente anche capace di una certa truculenza, direi medievale.

Quali sono i quartieri di Livorno che più hanno significato e fascino per te?

Le Sorgenti, Corea, la Cigna, dove sono cresciuto ed ho imparato a fare a botte e a fare il bullo con le ragazze. La Livorno del centro, di piazza Cavour, dell’Attias, dove conobbi il mondo studentesco, i cortei, le canzoni dei cantautori strillate di notte dalle spallette dei fossi. L’Ardenza, Antignano, dove ho smaltito la rabbia e il dolore d’adolescente con le lunghe, tempestose passeggiate lungomare, e dove ci si avventurava al tramonto mano nella mano con i primi flirt. La Venezia, quartiere di seicentesca e settecentesca memoria, che quando ero ragazzino era un luogo tenebroso, ancora diroccato dai bombardamenti, e che adesso è il più bel rione storico di Livorno, dove ho voluto comprare casa di proprietà. Una mansarda di scarso valore immobiliare ma per me di enorme affettività emotiva.

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