Museo del Bargello: la storia e le opere da non perdere
Il nostro tour all'interno di questo prezioso scrigno d'arte a Firenze
È di oggi la notizia di un nuovo Donatello per il Museo Nazionale del Bargello. La Madonna di via Pietrapiana, terracotta del maestro risalente al 1450-1455 circa e unica opera autografa di Donatello fino a tempi recenti ancora di proprietà privata, è stata acquistata dal Ministero della Cultura, assegnata alle collezioni del Museo Nazionale del Bargello e definitivamente allestita nel prestigioso Salone di Donatello, l’ambiente monumentale che ospita i capisaldi dello scultore. La Madonna di via Pietrapiana è stata riconosciuta come autografa nel 1986 da Charles Avery e ritenuta tale anche dalla critica successiva. Nello stesso 1986 fu esposta alla mostra Donatello e i suoi. Scultura fiorentina del primo Rinascimento al Forte Belvedere. L’opera è stata esposta una prima volta al Museo Nazionale del Bargello nel 2009, in occasione della mostra I Grandi bronzi del Battistero. Giovan Francesco Rustici e Leonardo.
Se si raggiunge da nord, lungo via del Proconsolo, il Bargello ci appare in tutta la sua severità, un po' sinistra. Il suo lugubre passato di carcere per prigionieri politici riaffiora nonostante oggi detenga col Victoria & Albert di Londra e il Cluny di Parigi il primato delle cosiddette arti minori o decorative. Ma è grazie soprattutto a Dante, che qui peraltro subì la condanna a morte in contumacia e l'esilio perpetuo, e al poco più giovane Giotto che forse proprio per questo lo volle ricordare dando alla storia il suo primo ritratto, che il palazzo fu scelto come primo museo nazionale di Firenze Capitale. E oggi è solo qui che si può confrontare la verve sperimentatrice di Donatello con la possanza di Michelangelo. Sostenere l'uno o l'altro.
STORIA
Va però ricordato che il Bargello (da qui il termine sbirro), era stato costruito per rappresentare il libero comune cittadino. Era qui infatti che lavoravano e vivevano Podestà e Capitano del popolo (capo dello Stato e del Governo). Viene costruito a metà del '200 quando la città, nonostante le lotte tra Guelfi e Ghibellini, sta vivendo il secolo più fulgido della sua storia. Così non appena Lapo di Cambio completa il primo palazzo pubblico cittadino, Firenze affida già al figlio Arnolfo la costruzione del nuovo palazzo podestarile che sarà poi della Signoria. E al Bargello si continuerà così ad amministrare la giustizia. Ed è qui che cominciano a finire i prigionieri politici. Ed è sempre qui, che fin dalla cacciata del Duca di Atene Gualtieri di Brienne che si ha notizia delle cosiddette pitture infamanti. E' infatti il primo a finire ritratto a testa in giù grazie alla felice mano di Giottino. E per secoli la parete nord della Torre Volognana, lasciata apposta a intonaco, viene dipinta con i ritratti dei ricercati dagli artisti più esperti, compreso Botticelli e Andrea del Castagno che si becca l'appellativo di Andreino degli impiccati e più tardi Pontormo. Nel Bargello si tengono processi e si eseguono le pene capitali dove oggi un pozzo sostituisce il vecchio patibolo. Spesso i condannati vengono poi lasciati appesi all'esterno o le loro teste mozzate poggiate su ceppi lungo la via. E' tornando a casa che la sera del 29 dicembre 1479 un giovane Leonardo si ferma a immortalare Bernardo Bandini Baroncelli che l'anno prima aveva partecipato alla congiura dei Pazzi e che ora penzolava a una finestra del Bargello. Stridente la descrizione minuziosa delle ricche e colorate vesti dell'impiccato. Il passo a lugubre carcere è breve. Con il ducato mediceo il Bargello viene completamente trasformato. Il Salone delle udienze, oggi di Donatello, viene diviso in quattro piani con ben 32 celle e un oratorio, anche la Cappella della Maddalena subisce una sorte analoga. Nel cortile si eseguono le pene capitali accompagnate dai rintocchi della Montanina, la campana della torre che oggi suona solo in occasioni straordinarie (per la liberazione di Firenze nel '44 e al passaggio del nuovo millennio). Bisognerà infatti attendere l'illuminato Pietro Leopoldodi Lorena, che nel 1786 con un gran falò degli strumenti di tortura mise fine, primo in Europa, alla pena capitale. Ma fu soprattutto grazie all'ostinazione di un gruppo di appassionati cultori di Dante e di Giotto che volevano ritrovare l'affresco di Giotto con il volto di Dante coperto da strati di calce, che negli anni '40 dell'800 si cominciarono a fare ricerche finché gli affreschi alla fine furono trovati. E col trasferimento nel 1857 di tutte le carceri all'ex Convento delle Murate anche il Bargello fu sottoposto a restauro. Quando Firenze divenne capitale del nuovo regno dei tre secoli di torture e dolori non c'era più traccia: la grande bifora su piazza San Firenze era stata riaperta, il Salone delle Udienze recuperato, così la la Cappella e il Verone, realizzato nel '300, grazie ai proventi delle multe per il gioco d'azzardo finalmente riaperto. Così il Bargello divenne museo: l'occasione fu la mostra dedicata al sesto centenario di Dante il cui ritratto campeggiava nella Cappella della Maddalena. E poi la mostra dedicata a Donatello nel 1886 per il quinto anniversario della nascita e il lascito di Louis Carrand dell'anno successivo, a cui si aggiunsero poi le donazioni Franchetti, Ressman e Bruzichelli trasformarono il Bargello nel prezioso scrigno che ammiriamo oggi. E non ci resta che visitarlo.
PRIMO PIANO
Conviene salire dallo scalone trecentesco di Neri di Fioravante che sbuca al Verone dove ci accolgono gli uccelli in bronzo del Giambologna e una scultura in marmo di fine '500del suo allievo Francavilla. Merita soffermarsi davanti al Tacchino che il grande manierista fiammingo realizza in bronzo nella seconda metà del '500 rendendolo così anche molto famoso. L'animale, originario dell'America era ancora pressoché sconosciuto.
Ed eccoci nel Salone di Donatello (la saletta della scultura del '300 e l'attigua sala delle maioliche al momento sono in restauro) dove sono conservate le sculture più importanti dell'artista che darà avvio all'arte rinascimentale. E qui se ne può vedere l'evoluzione stilistica partendo dal primo David , in marmo, che realizza probabilmente per uno sperone del Duomo verso il 1408 e che però entra subito nella collezione di Palazzo Vecchio, con qualche modifica che Donatello apporta rendendolo più civico che liturgico. Il David era infatti l'emblema della libertà cittadina. Ma è ancora ancorato allo stile gotico. Sarà infatti col poco più tardo (1416) San Giorgio, commissionato dall'Arte dei Corazzai e Spadai che possedevano una nicchia esterna di Orsanmichele che Donatello inaugura la stagione rinascimentale. Lo si vede dalla torsione del corpo che segue i principi dell'arte classica del contrapposto (che Donatello ha potuto studiare a Roma dove accompagna l'amico Brunelleschi), nella naturalezza della figura, che si immagina bene nonostante l'armatura e l'espressione fiera del volto, che peraltro ispirerà molto Michelangelo per il suo David, che ci fanno capire che qualcosa, molto, è cambiato. Ed è soprattutto nella predella, dove l'artista applica la prospettiva scientifica, con tanto di punto di fuga e l'enfatizza usando l'antica tecnica dello stiacciato che si apre una nuovaera. Donatello non si limita a copiare le tecniche antiche ma le piega a concetti nuovi. E visto che si è citato Brunelleschi come non confrontare la sua formella con il Sacrificio di Isacco con quella analoga di Ghiberti. Siamo nel 1401 e l'Arte di Calimala indice un concorso per la seconda Porta bronzea del Battistero (la prima era stata fatta da Andrea Pisano una sessantina di anni prima). Unico limite imposto: rispettare la forma polilobata, in chiaro stile gotico, della piastrella. A contendersi l'esito finale saranno Ghiberti e Brunelleschi. Quest'ultimo perderà benché più innovativo. Introduce infatti il punto di fuga e l'immanenza dell'azione: l'angelo che blocca la mano di Abramo e che molti anni più tardi farà anche Caravaggio. Ma la formella di Ghiberti, orafo esperto, non solo piace di più perché più aggraziata ma risulta anche essere molto meno costosa. Ghiberti infatti assicura di usare meno bronzo. Ma sarà anche la fortuna di Brunelleschi che deluso se ne andrà a Roma dove attingerà a piene mani dall'arte classica. L'amico Donatello intanto è sempre più famoso. E tra le sue opere più celebri, oltre al misterioso Atis (o Mercurio, visto che ha i piedi alati?)Campeggia forse l'opera più bella: il David in bronzo. Commissionatogli da Cosimo il Vecchio nel 1440faceva bella mostra di sé nel cortile di Palazzo Medici fin quando con la cacciata dei Medici non venne portato nel Palazzo della Signoria. E' la prima opera moderna di nudo a tutto tondo. Una scelta per evidenziare l'umiltà e il coraggio. Ispirato naturalmente all'arte romana. Al David di Donatello fa eco lo smaliziato adolescente che si mostra invece con baldanza dopo l'eroico atto. É l'opera commissionata da Piero il Gottoso al Verrocchio. Il bronzo venne poi venduto alla Signoria dai fratelli Lorenzo e Giuliano. E Verrocchio dovette così spostare, per motivi di spazio, la testa del Golia davanti ai piedi del giovanetto. Da non perdere, oltre ai cassoni e al busto di Niccolò da Uzzano attribuito recentemente a Desiderio da Settignano, il bassorilievo di Bertoldo di Giovanni con la Battaglia tra romani e barbari. L'allievo di Donatello e a capo del Giardino di San Marco ispirò chiaramente il giovane allievo Michelangelo.
Dal 5 giugno fino al mese di ottobre la sala è chiusa al pubblico per restauri e riallestimento.
BRONZI, AVORI E COLLEZIONE CARRAND
All'uscita del salone di Donatello ci accoglie l'atmosfera intima e morbida della sala Islamica dove si trovano i preziosi tappeti della Collezione Franchetti e dove spiccano alcuni bronzi e avori di origine islamica e orientale, tra cui un cofanetto eburneo con pietre semipreziose e argenti. Ma bisogna entrare nell'attigua Sala Carrand per perderci nella bellezza degli oggetti esposti. Il busto di Louis Carrand fa gli onori di casa. Insieme al padre, ricchi mercanti e collezionisti di Lione, si trasferirono a Nizza e da qui espatriarono, per disaccordi politici, in Italia, prima a Pisa e poi a Firenze. Louis lascerà al museo la sua preziosa collezione di oltre 3300 pezzi di arte decorativa. Un patrimonio unico e che ha portato il Bargello al livello di musei ben più forniti quali il Victoria & Albert e il Cluny. Ogni oggetto del resto è più unico che raro. Ma tra le cose più pregevoli c'è sicuramente la famosa lamina in rame dorato di Agilulfo. La placchetta risalente al VI-VII secolo decorava l'elmo del re longobardo. Così altrettanto pregevoli sono gli acquamanili in bronzo dorato. Uno in particolare con San Giorgio e il drago, quattrocentesco, colpisce per l'agilità della figuretta e la possanza del cavallo. Gli acquamanili servivano per lavarsi le dita prima e dopo il pasto. Bellissima poi la scarsella in pelle ricamata del XVI secolo. Prima però di entrare nella Sala degli Avori troviamo la Cappella della Maddalena con il Paradiso dove è raffigurato Dante restaurato per i 700 anni dalla morte nel 2021. Alle pareti le storie di San Giovanni, della Maddalena e di Santa Maria Egiziaca, personaggi espressione di penitenti, mentre al centro campeggia uno splendido Badalone olivetano intarsiato che veniva usata per i canti liturgici. Ma è nell'attigua Sala degli Avori che incontriamo pezzi davvero unici come il Flabello liturgico dei tempi di Carlo il Calvo (IX secolo) giunto a noi praticamente intatto. E' a buon diritto considerato unico. In pergamena dipinta è munito anche di manico di osso intagliato. E ancora una splendida Scacchiera in avorio e ebano e il Riccio Pastorale che si pensa appartenuto a San Ivo, abate di Saint Quentin de Beauvais e poi vescovo di Chartres. Così come di rara bellezza è l'Olifante, una sorta di corno da caccia, ma che veniva suonato durante la settimana santa quando le campane non si potevano usare. Di origine norvegese del XIII secolo è ricavato da una zanna di tricheco e finemente istoriato. Tra le pitture esposte non si può non ammirare il Cambiavalute con la moglie di arte riformata olandese in cui l'avidità dei due è dettagliatamente descritta alla maniera fiamminga.
È tempo di salire ancora un piano e di ammirare le terracotte invetriate dei Della Robbia e dei Buglione.
SECONDO PIANO
Eccoci subito nella Sala di Giovanni della Robbia. Figlio di Andrea e nipote di Luca (le cui opere, compresa la piccola Madonna della mela sono nella sala di Donatello) è anche l'ultimo esponente di una famiglia di scultori e poi ceramisti divenuti famosi grazie alla tecnica dell'invetriatura della maiolica. La procedura non del tutto nota (la formula spiata dai Buglioni non è stata mai chiarita) consisteva nel ripassare a temperatura altissima il manufatto. Con l'invetriatura le ceramiche diventavano molto resistenti e potevano essere realizzate anche per esterni. Con i Della Robbia si entra però anche nella modernità. Viene infatti introdotta la manifattura seriale: il calco preparatorio poteva essere riusato varie volte, così da produrre pezzi in serie. Col risultato di abbassare i costi e allargare la sfera degli acquirenti. Col passare degli anni al bianco e blu di Luca si aggiungono più colori fino alle sgargianti ceramiche di Giovanni e dei Buglioni. Attraverso la saletta dedicata ad Andrea della Robbia e ai suoi delicati ritratti si accede alla Sala del Verrocchio e della scultura tardo quattrocentesca dove possiamo vedere come erano davvero i personaggi che hanno segnato parte della storia. Tanti i busti-ritratto. Oltre a Verrocchio, con la sua Dama col mazzolino molto probabilmente la Lucrezia Donati dama ispiratrice del Magnifico, il busto funebre di Battista Sforza duchessa di Urbino di Francesco Laurana, il mercante Piero Mellini di Benedetto da Maiano e Antonio Palmieri di Antonio Rossellino. E non ultimi il Francesco Sassetti della bottega di Verrocchio, il giovane in armatura da giostra di Antonio del Pollaiolo e infine Piero il Gottoso di Mino da Fiesole. La carrellata dei personaggi illustri è terminata ed è tempo di tornare nel cortile ed entrare nel '500. Ma non prima di aver visitato la bellissima Sala dei Bronzetti la cui apertura viene alternata alla vicina e ricca Sala delle Armi. Purtroppo è chiusa la sala delle medaglie dove è conservata anche quella celebrativa della Congiura dei Pazzi a opera di Bertoldo di Giovanni.
CORTILE E SALA DI MICHELANGELO
Scendiamo dalla scala interna ed arriviamo nel Cortile, oggi piacevole e rilassante spazio dove poter sostare. E anche qui non mancano dei grandi opere d'arte come, per esempio la Fontana della Sala Grande che Bartolomeo Ammannati non portò mai a fine. Il complesso di statue allegoriche con l'Arno, Giunone, la Temperanza e perfino la Fonte di Parnaso doveva decorare una parete del Salone dei Cinquecento di palazzo Vecchio ma non ci arrivò mai.
In compenso fu prima portata a Pratolino e poi ricomposta come Fontana a Palazzo Pitti in occasione delle nozze di Ferdinando I e poi nuovamente dispersa qua e là finché nel 2011, in occasione della mostra per il quinto centenario della nascita dell'artista non venne finalmente ricomposta nel Cortile del museo. E' tuttavia considerata il capolavoro dell'artista seguace di Michelangelo e autore, tra le altre cose della Fontana del Nettuno di piazza Signoria. E prima di entrare nel salone di Michelangelo merita soffermarsi, voltando le spalle al pozzo che sostituisce l'antico patibolo, davanti il grande Cannone di san Paolo in bronzo commissionato da Ferdinando II a Cosimo Cenni e destinato alla Fortezza di Livorno. Ma è l'unico di una batteria che ne avrebbe dovuti contare ben dodici e mai realizzata. Il nome deriva dalla testa del santo raffigurata sulla culatta, mentre il fusto è decorato con lo stemma mediceo e le figure allegoriche della Giustizia e della Forza. E in quanto a forza sembra ne abbia da vendere la gigantesca statua raffigurante Oceano che venne commissionata al Giambologna da Cosimo I per una fontana. E in realtà fino ai primi del '900 svettava al culmine della grande Fontana dell'Isolotto a Pitti. Eccoci dunque nel gran salone dove entrando sulla parete destra c'è una Madonna con Bambino che alcuni studiosi pensano potesse far parte del complesso di affreschi della Cappella della Maddalena. Ma sono le statue di Michelangelo a catturare per prime l'attenzione. Anche perché sono le sue opere più giovanili. In particolare il Tondo Pitti e il Bacco.
Per quest'ultimo fortuna volle che il cardinale Raffaele Riario che gli aveva commissionato la statua nel 1496 all'arrivo di Michelangelo a Roma, non ne apprezzasse il precario equilibrio di un Bacco decisamente ubriaco. Così lo cedette al banchiere Jacopo Galli che poi lo vendette ai Medici nel 1570. E fu proprio quel precario equilibrio del Bacco ad affascinare Vasari che ne loda il superamento dell'arte classica verso quel movimento tormentato che caratterizzerà poi l'arte matura dell'artista. E sembra misurarsi con Donatello quando realizza, per conto del mercante Bartolomeo Pitti e all'indomani dei successi del David, il tondo raffigurante la Madonna con Bambino. Qui infatti Michelangelo interviene giocando e con lo stiacciato nella figura appena abbozzata del San Giovannino e con la prospettiva alternando parti perfettamente levigate ad altre decisamente scabre. Non portò fortuna a Baccio Valori invece l'Apollo-David che il condottiero delle truppe pontificie commissionò a Michelangelo per donarlo ai Medici e farsi così perdonare del tradimento per esser passato, alla morte del primo duca Alessandro, seguace della Repubblica. In realtà l'opera arriverà ai Medici ma con la confisca dei beni del Valori che nel frattempo fu fatto decapitare da Cosimo I. L'opera risulta tuttavia alquanto ambigua: si tratta di un Apollo che sfodera una freccia o di in un David che arma la frombola? Il trionfo del non finito lascia il rebus senza soluzione. Mentre è molto chiara la fisionomia del Bruto Toscano. Commissionato a Michelangelo da Donato Giannotti ferreo repubblicano antimediceo come lo stesso artista, il Bruto sarebbe quel Lorenzino che uccide il cugino Alessandro e che avrebbe riaperto le speranze repubblicane dei fiorentini antimedicei. Chiaramente celebrativi sono invece i busti di Cosimo I realizzati da Baccio Bandinelli, il più apprezzato e da Benvenuto Cellini quello più criticato da parte del granduca. Ma del grande orafo, scultore e scrittore a lungo al servizio e del re di Francia Francesco I e del granduca Cosimo I al Bargello è conservato il basamento originale del Perseo la cui statua è stata realizzata per volere dello stesso Cosimo per la Loggia dei Lanzi e dove tuttora è in originale. I bronzetti con le allegorie legate al Perseo alludono alla sconfitta dei nemici in nome della virtù e della giustizia divina. Non a caso la testa del Perseo ricorda il volto di Cosimo. E tra le opere più pregevoli non si può non ammirare il Mercurio volante del Giambologna. Un'opera tra le più apprezzate dall'artista fiammingo che lo completa intorno al 1580 sia per l'agilità dei movimenti e sia per la tecnica fusoria che richiedeva una certa abilità. L'artista che è considerato il primo scultore manierista, a Firenze non solo riuscì a creare una valente bottega tra cui figurano Pietro Tacca, Antonio Susini e Pietro Francavilla, ma anche a far capire che la ricerca non era assolutamente finita con Michelangelo e che la scultura poteva andare oltre lo stesso Buonarroti, come presto dimostrerà Gian Lorenzo Bernini. Dell'artista barocco il Bargello ha l'intenso ritratto di Costanza Bonarelli. Moglie di un collaboratore di Bernini, amante prima di Gian Lorenzo e poi del fratello Luigi verrà fatta sfregiare dall'artista geloso. Lei ha un'espressione intensa e sensuale. Il ritratto era a uso privato, bellissimo ma anche quanto macchia perpetua che segna se non l'arte la considerazione dell'uomo Bernini. Ovviamente ai nostri occhi visto che l'artista se la cavò con una piccola multa.