Le torri di Firenze
Un itinerario alla scoperta della storia di questi “grattacieli” medievali commissionati dalle famiglie fiorentine
Una muraglia compatta, inespugnabile. Così doveva apparire Firenze ai primi del ‘200 con le sue 150 torri che svettavano anche oltre i 70 metri dalla stretta cerchia muraria. L’una rasente l’altra, perché lo spazio è poco. E la fatica a salire e scendere le strette scale tanta. Ma vivere in città è anche un privilegio, riservato alle élite. È qui che si fanno gli affari e il guadagno compensa i sacrifici.
Le case torri, del resto, erano ben organizzate con servizi comuni, pozzo, forno, laboratori al piano terra e le cucine all’ultimo per evitare fumi, odori e danni gravi in caso di incendio. E benché sia un continuo litigare tra rivali invidiosi, perché la convivenza tra mercanti e nobiltà è difficile e le lotte finiscono spesso con la distruzione della torre avversaria, è anche il periodo tra i più fecondi: Firenze sta diventando ricca e potente.
Ma intanto ci si asserraglia in isole fortificate. Nella società delle torri parenti, amici, alleati e sodali vivono gli uni accanto agli altri. I primi grandi palazzi si formeranno proprio così, ma per ora questa ogni isola ha una torre comune. Priva di accessi dalla strada si raggiunge solo con ponteggi, scale e ballatoi volanti. È il rifugio in caso di disordini. E dava infatti asilo anche a 18 famiglie la possente Torre dei Consorti (lungarno Acciaioli 5), che ha mantenuto l’antico nome consortile.
Oggi, inglobata dall’elegante Hotel Continentale, è divisa in camere esclusive. Destino che condivide con la torre più antica di Firenze, la Pagliazza (piazza Santa Elisabetta), l’unica tondeggiante e bizantina, che nel medioevo era usata come carcere femminile. Ma al posto degli scomodi giacigli di paglia di un tempo, ora offre l’ospitalità dell’Hotel Brunelleschi.
Non ha subito modifiche la vicina Torre della Castagna (piazza San Martino) che al tempo di Dante veniva usata dai priori, i ministri del governo, per prendere le decisioni più importanti. Il termine ballottaggio usato in tutto il mondo nasce da qui: i priori votavano mettendo in un sacchetto le castagne, che a Firenze, bollite, si chiamano per l’appunto ballotte.
E svetta in tutta la sua altezza anche la Torre della Volognona (via del Proconsolo), che la Repubblica delle Arti usa a metà ‘200 per costruire il primo palazzo pubblico: il Bargello, che al tempo era del Capitano del Popolo e della milizia. La sua campana suonava per radunare gli eserciti, ma scandirà anche la liberazione di Firenze all’alba dell’11 agosto del ’44.
Un conflitto che lasciò in macerie la zona intorno al Ponte Vecchio. Con qualche fortunosa eccezione, come la Torre degli Amidei (via Por Santa Maria 9). Con le sue teste leonine etrusche, in facciata è l’emblema delle lotte tra Guelfi e Ghibellini. Si racconta infatti che un rampollo dei guelfi Buondelmonte con torri in Borgo Santi Apostoli, stesse per sposare una ghibellina Amidei quando lui s’invaghì di una Donati. Un’onta che lui pagò con la vita e la città con una guerra decennale che alla fine vedrà la vittoria dei Guelfi.
Ma i fiorentini riuscirono a dividersi nuovamente. Al tempo di Dante la disputa è tra guelfi Bianchi filo imperiali e guelfi Neri filo papali.
I primi capitanati da Vieri dei Cerchi, potenti mercanti con torri tra via dei Cerchi e piazza dei Cimatori e soprattutto in Canto alla Quarconia e i secondi, da Corso Donati di antico lignaggio con torri tra via del Corso fino a piazza San Pier Maggiore dove si staglia, prepotente, l’ultima sua dimora. Accusato di tradimento viene ucciso mentre si dà alla fuga. Entrambi peraltro erano stati eroi a Campaldino dove debutta il giovane Dante.
E benché avessero dato priori e gonfalonieri alla Repubblica i Baldovinetti (Borgo santi Apostoli 4), tra le poche torri miracolate dalla guerra e riconoscibile dall’elegante porta gotica a doppia ghiera, sono ricordati soprattutto per aver dato i natali ad Alesso, l’artista maestro di Ghirlandaio. Una sorte avversa avranno i ghibellini Alberti (via dei Benci-Borgo Santa Croce). La loro torre trapezoidale, ricorda che i borghi fuori le mura erano un intrico caotico di viuzze. Magnati e sostenitori dei Ciompi vengono cacciati nel 1378 tanto che il celebre Leon Battista nascerà a Genova.
Sfortunati anche i ricchi Compiobbesi (via dell’Arte della Lana 1). Feudatari che controllavano anche la vicina Orsanmichele. Si estinguono nel ‘400 ma già nel ‘300 la loro torre, già quasi palazzo, diventa la sede dall’Arte della Lana.
Riuscirono invece a risollevarsi i Gianfigliazzi (piazza Santa Trinita) che, caduti in disgrazia a fine ‘300, tornano in auge nel ‘400. Anche la loro torre è già appalagiata, più bassa e larga con loggia al piano terra. E benché avessero costruito cappelle nell’attigua Santa Trinita e l’ospedale San Matteo (Galleria dell’Accademia) l’inesorabile Dante li caccia tra gli usurai.
Si racconta che ebbero la meglio su Cosimo I i Mannelli (via dei Bardi 84r), antichi ghibellini poi fidati guelfi, perché quando Vasari nel 1565 costruisce il celebre Corridoio, è costretto a girare intorno alla torre anziché traversarla. In realtà la strozzatura servirà anche per impedire agguati: un uomo armato non ci passa.
Andò peggio ai vicini Ubriachi (via Guicciardini) la cui torre è attraversata e inglobata dal Corridoio. Di loro resta traccia in Santa Maria Novella.
Ma è nella vicina Borgo San Jacopo dove s’incontrano le torri più tipiche perché meno danneggiate dalla guerra e con le fondamenta in Arno.
Tra le più caratteristiche quella del poeta Cecco Angiolieri al civico 30, mentre al 17 c’è la torre dei guelfi Marsili, anche se la più caratterista è quella dei Belfredelli al numero 9, con la facciata ricoperta di edera che fa da sfondo a un romantico affaccio sull’Arno.