L'architettura fiorentina degli anni '50
Una città rivolta verso il futuro che vede negli anni cinquanta e sessanta una rinascita di Firenze
Anni Cinquanta. Firenze guida la ripresa grazie a uomini di lunghe vedute, decisionisti, pieni di voglia di rimettersi in gioco. Nasce il mito della moda italiana alla Sala Bianca, il Giardino di Boboli accoglie i concorsi di bellezza per le automobili più belle delle mondo, fa la sua prima apparizione a Palazzo Strozzi la madre della Biennale dell’Antiquariato. Ogni angolo vitale, ricco di fascino e di storia della città viene tirato a lucido come una vetrina e messo a servizio del motore economico che si è riacceso all’improvviso e romba all’impazzata. Un successo di immagine e promozione internazionale strepitoso.
Si respira, dopo lungo tempo, la voglia di ricostruire un futuro nuovo per dare una nuova vita alla città. Ridisegnare da ciò che è stato distrutto una città rivolta verso il futuro. In questa dinamica vitalità l’architettura trova a Firenze, nel ventennio dal 1948 al 1968, una stagione prolifica e innovativa. I primi anni vedono una grande operosità e un desiderio di rinascita, oltre a un enorme dispiegamento di forze.
Nel 1954, in piena ricostruzione post-bellica, Giovanni Michelucci realizza una casa per abitazioni e negozi all’angolo fra via Guicciardini e via dello Sprone. La costruzione è una riflessione sull’ambiente senza rinunciare al moderno. Al piano terra le botteghe sono sottolineate dall’arco ribassato, e collegate al piano superiore con l’utilizzo della tipologia del duplex. Il rivestimento in pietra forte è aggiornato dall’aggetto intonacato delle finestre. Il tetto è molto sporgente, quasi in dialogo con lo sporto dell’antico palazzo di fronte.
Il dialogo tra antico e moderno si intesse fin dalle prime ricostruzioni. Le torri superstiti segnano un paesaggio che rimane impresso nelle menti degli architetti del tempo e ritornano come elemento compositivo che caratterizza le operazioni di rifacimento. Italo Gamberini nel 1957, tra via Alamanni e via Jacopo da Diacceto, realizza, a testa di un impianto a T che occupa l’intero lotto tra le due strade, una vera e propria torre medioevale: imponente, massiccia, con il caratteristico profilo delle antiche torri di difesa a caditoie.
Le Residenze sull’Arno (1954-1963) di Francesco Tiezzi presentano come soluzione per la ricostruzione dei lungarni di via de’ Bardi e di borgo San Jacopo, un profilo merlato, generato da una serie di case-torri che si alzano, a intervalli regolari, da un corpo più basso che come un basamento compatto le unisce tutte. Il Ponte alle Grazie (1957) è frutto dell’intervento da parte del gruppo formato da Giovanni Michelucci, Edoardo Detti, Riccardo Gizdulich, Danilo Santi e dall’ingegnere Piero Melucci.
Via Por Santa Maria una delle strade più antiche del centro storico (risalente all’epoca romana come prolungamento del cardo al di fuori della prima cinta muraria) completamente rasa al suolo, viene ricostruita in questi anni – così come gli edifici che si affacciano nell’adiacente vicolo dell’Oro -, e anche in questo caso ci si affida al compromesso tra antico e moderno. Un’altra opera architettonica di pregio nel centro storico in questi anni è la sede del Banco di Sicilia, in angolo tra via di Calimala e via Orsanmichele, inaugurata nel 1959 e il cui progetto è firmato dall’ingegnere romano Cesare Pascoletti.
Ma per addentrarci nella libertà di un lessico più moderno occorre lasciare il cuore della città e avviarsi a uscire dal centro storico. L’edificio ex-BICA in via Nazionale è una delle realizzazioni architettoniche già meno costrette nel compromesso vecchio-nuovo, la firma Italo Gamberini nel 1957. Gli fa eco la sede storica dell’ACI (1958-1961) affacciata sul viale Giovanni Amendola, realizzata da Emilio Brizzi, Domenico Cardini, Giorgio Giuseppe Gori e Rodolfo Raspollini. Fino ad arrivare ad alcuni tra gli esempi più paradigmatici del periodo come la Chiesa del Sacro Cuore in via Capo di Mondo (costruita nel 1941, viene interamente rivista tra il ’56 e il ’62 da Lando Bartoli che per il campanile in cemento si avvale dell’aiuto di Pier Luigi Nervi), il Condominio di via Piagentina (1964-1967, progetto di Leonardo Savioli), la sede del quotidiano La Nazione sul viale Giovine Italia (1961-1966, progetto di Pier Luigi Spadolini) e la sede regionale della Rai tra lungarno Colombo e largo De Gasperi (1962-1968, progetto di Italo Gamberini).
Completamente fuori dalla città, due destinazioni significative in questo excursus sull’architettura post-bellica fiorentina sono il villaggio di case popolari a Sorgane (il primo progetto è redatto da 36 progettisti coordinati da Giovanni Michelucci, ma la realizzazione sul nuovo progetto rivisitato è di Leonardo Ricci e Leonardo Savioli) e in Villa Byon sulla collina di San Gaggio, nella zona a Sud di Firenze in direzione di Siena, firmata da Leonardo Savioli tra il 1965 e il 1966. Espressioni mature e più tarde di un linguaggio architettonico che ha ormai imboccato la strada del futuro.