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botero ph. alessandro moggi

text Matteo Parigi Bini

15 Settembre 2023

La nostra intervista a Fernando Botero

Un ricordo del grande maestro nella sua Pietrasanta

Botero si racconta con più di cento opere a Pietrasanta. Un omaggio dell’artista a questa città che ha scoperto quasi quarant’anni fa, acerba e ruvida. Il grazie di questo effervescente polo contemporaneo, che ora indossa i suoi abiti migliori ma non dimentica chi ha contribuito a renderla internazionale. Un incontro tra titani, come le sculture del maestro colombiano. Che sembrano divinità azteche ma hanno negli occhi la malinconia contemporanea.

Botero è stato anche protagonista di Piazza della Signoria a Firenze, quando nel 1999 collocò 30 sculture monumentali in piazza della Signoria e nel piazzale degli Uffizi.

Pietrasanta nel 1983: quanto è cambiata e come la ricorda?
In realtà sono arrivato qui molto prima, negli anni ‘70. Pietrasanta era un posto sconosciuto e molto diverso da adesso: non c’erano negozi, né ristoranti. Arrivai con il mio gallerista di New York per la morte dello scultore Jacques Lipchitz. In quel periodo producevo le mie opere in Francia. Mi incuriosirono le fonderie che c’erano qui, e tornai dopo qualche mese con un piccolo calco per capire come lavoravano. Provai con la fonderia Mariani, con cui ancora oggi ho una importante collaborazione. Fecero un buon lavoro, e mi trasferì in Versilia. A Viareggio per essere precisi, Pietrasanta non era come oggi, non c’era niente, alloggiavo all’hotel Astor. Dopo qualche anno comprai una casetta dentro le mura.

Ma la Toscana, Firenze in particolare, sono luoghi molto importanti per lei.
Sono arrivato a Firenze nel ’53 e sono rimasto fino al ’55. Poi sono tornato negli Stati Uniti, ma la mia formazione come artista è fiorentina. Io amo l’arte italiana del ‘400 e incontrarla così da vicino è stato per me un momento molto importante.

Le sue figure con questi occhi sfuggenti, che non guardano lo spettatore, sembrano essere una eredità di…
Piero della Francesca! Certo è vero. Amo l’arte egiziana, assira e Piero della Francesca. Nella pittura antica il soggetto non si rivolge mai a chi guarda. E lo stesso fa Piero della Francesca. Mi piace molto questo modo di ritrarre lo sguardo e lo adotto anche nei miei quadri.

Quando ha maturato il concetto, antico e allo stesso tempo di grande avanguardia, che l’arte è prima di tutto bellezza?
Oggi tanta parte dell’arte è condizionata dal fatto di creare stupore, di generare uno shock più che dare piacere. Io ho sempre pensato che l’arte è bellezza: è la lezione dei grandi maestri del passato, da Botticelli a Tiziano, fino ad arrivare agli Impressionisti. Milioni di paesaggi, mai uno deprimente! Ma nella mia vita ho dipinto anche il dolore.

Soprattutto quando racconta con le immagini il suo paese di origine.
Si, in un ciclo di pitture esposte in molti musei che sono stati ribattezzate Il dolore della Colombia. O in dipinti religiosi come La via Crucis, abbastanza recente. Ma anche questa è bellezza, la bellezza del dramma.

Che ruolo ha la religione nella sua vita, come uomo e come artista?
Non sono religioso. Ma oggi tutto il mondo è vestito di grigio e l’unico modo di un artista per usare il colore è dipingere figure religiose: cardinali, papi, madonne. Ma anche la corrida o il circo ti danno la possibilità di inondare la tela di colore.

Ma lei è stato un matador?
No, non esattamente. Non sono mai sceso nell’arena, ho fatto soltanto una scuola quando ero un ragazzo,

Le sue donne (dipinte o scolpite) sono figure materne che accolgono, proteggono, accudiscono. Come vede la figura femminile nella realtà?
Le donne volumetriche rispecchiano il mio linguaggio artistico: dipingo sempre una realtà aumentata, tutte le mie figure volumetrico. Questo modo di esprimermi non è la realtà e neanche una proiezione dei miei desideri: non c’è nessun tipo di lussuria dietro (lui usa “gorduria” ancora più efficace, ndr) ma la vita è un po’ asciutta e questa è la mia risposta personale. Certamente c’è anche una componente di sensualità.

Come crea? In maniera metodica o seguendo l’ispirazione?
Io lavoro ogni giorno e molte idee mi vengono proprio lavorando. Non so se proprio il mio lavoro quotidiano la mia inesauribile fonte di ispirazione. Posso certamente dire di non aver mai avuto il problema di cosa rappresentare. Molto spesso prendo degli appunti, faccio degli schizzi, anche mentre lavoro su altre opere. Se li riguardo a distanza di tempo ce n’è sempre uno che mi dice qualcosa in più degli altri. E da li inizia un’altra storia, quella della tela. Ma il processo è un po’ lo stesso: distendo il colore e poi accantono tutto per qualche mese. Quando lo rivedo, aggiungo qualcosa, cambio un colore o un particolare. In alcuni casi stravolgo tutto. Come lei edita un testo, io edito un quadro.

Cosa vedremo nella mostra che Pietrasanta le dedica per i suoi ’80 anni?
In piazza del Duomo troveranno posto sei bronzi monumentali, a cui si aggiungono uno in piazza Crispi ed uno in via San Francesco. Dieci sculture di medie dimensioni saranno collocate nella chiesa di Sant’Agostino insieme ad un ciclo di acquerelli su tela appositamente realizzato per la mostra. 40 disegni inediti, che ho realizzato negli anni Settanta, troveranno posto nel chiostro di Sant’Agostino.

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