Kobe Bryant. Storia del campione dei Lakers cresciuto in Toscana
Pistoia, gli amici, i campetti e le sfide ‘uno contro uno’:tutto serve per vincere nella Nba
Scompare prematuramente un grande uomo e un instancabile campione. Kobe Bryant è stato tutto questo e molto di più. Nella sua vita appare un legame unico con la Toscana, sopratutto con Pistoia dove, tra gli anni '80 e '90, viveva. Lo vogliamo ricordare pubblicando un'esclusiva intervista di copertina apparsa nel nostro Firenze Made in Tuscany Magazine.
Il campione della porta accanto. Quello che fino a ieri vedevi giocare nel campino e che poi, improvvisamente, ritrovi in televisione. Stella tra le più luminose del firmamento del basket Nba. Quello che a perdere ‘uno contro uno’ non ci stava proprio, e non ha mai rinunciato a chiedere una rivincita.
Kobe. Prima ancora di prendere in mano un pallone, conosce sono il verbo vincere. E i numeri lo dimostrano: tre titoli Nba (2000, 2001 e 2002), un oro olimpico (2008), Mvp dell’anno in Nba (2007/2008), tre volte Mvp dell’all star game (2002, 2007 e 2009). E poi, ancora, più giovane giocatore dell'All Star Game (a 19 anni e 175 giorni, l’8 febbraio1998), più giovane vincitore della gara delle schiacciate (18 anni e 175 giorni, l’8 febbraio1997), uno dei due giocatori della storia ad aver segnato 50 o più punti in quattro gare consecutive (Wilt Chamberlain, primo, è arrivato a sette partite di fila), più tiri da tre punti segnati in una partita (ben 12, il 7 gennaio 2003 contro i Seattle SuperSonics), più tiri da tre segnati in un tempo (8, il 28 marzo 2003 contro i Washington Wizards), più tiri da tre messi dentro consecutivamente in una partita (9, il 7 gennaio 2003 contro i Seattle SuperSonics), più tiri liberi segnati in un quarto (14, il 20 dicembre 2005 contro i Dallas Mavericks) e più tiri da tre realizzati negli All-Star Game (14).
E ce ne sarebbero tanti altri, di numeri. Ma per chi conosce il basket, bastano ed avanzano per capire la portata di questo campione. La porta accanto di Kobe è quella sulla strada che collega Pistoia all’Abetone. Fatte poche curve in salita, casa Bryant era da quelle parti, a Cireglio, quando Joe, Giuseppe per gli amici, padre di Kobe, giocava a Pistoia. Era il periodo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. In tutto Joe Bryant disputò sette stagioni in Italia, prima a Rieti, poi a Pistoia e Reggio Emilia. Memorabile un suo All-Star Game italiano, a Firenze, dove Joe iniziò a tirare subito dopo la palla a due e smise solo alla sirena finale, con inevitabile ‘quarantello’ e oltre.
Dell’Italia a Kobe è rimasto l’accento, profondamente toscano, con tanto di C aspirata, ed il nome, riconducibile a quello di una bistecca che Joe e Pamela Cox (sua moglie, tra l’altro figlia del cestista John Cox) mangiarono al ristorante poco prima della nascita del piccolo. E poi, ancora, il tifo milanista e la passione per Frank Rijkaarde Ronaldinho, protagonisti di una passione calcistica tutta italiana ed evidentemente contagiosa per il piccolo Kobe. “In effetti – ci dice Kobe - mi guardo spesso indietro e con grande piacere ripenso al periodo passato in Toscana e, più in generale, in Italia. Sono molto legato alla vostra terra, che è stata davvero importante per me. Gli anni della mia adolescenza sono stati una parte indimenticabile della mia vita, della quale ho fatto realmente tesoro.
Hai perso di vista tutti gli amici di allora o con qualcuno ti senti ancora?
Sono ancora in contatto con alcuni ragazzi di quel tempo. Non solo a Pistoia, ma anche a Rieti e a Reggio Emilia. E, devo confessarlo, mi piace davvero, quando ne ho l’occasione e la possibilità, portare la mia famiglia ed i miei figli (la moglie Vanessa e le due figlie Natalia Diamante e Gianna Maria Onore, ndr) a vedere i luoghi dove sono cresciuto. E’ davvero bello constatare che, contrariamente a quello che accade, nei miei posti italiani le città non sono poi così cambiate. Se a questo si aggiunge la possibilità d’incontrare volti familiari, è facile capire perchè cerco di tornare appena posso.
Cosa hai imparato da tuo papà, sul basket?
Mio padre mi ha insegnato tutto sul gioco della pallacanestro. E’ stato davvero bello condividere con lui la passione per questo sport. Che poi, per me, è diventata una professione, la più bella del mondo.
Inutile chiederti se sei soddisfatto di quello che hai ottenuto sul campo
Io mi ritengo estremamente fortunato per essere arrivato così lontano nel mio percorso sportivo e professionale. E’ stato, e continua ad essere, davvero un viaggio molto bello. Spesso mi piace anche provare a guardare nel futuro. Capire, insomma, cosa i prossimi anni mi riservano. Posso dire che una cosa è certa: tutto è possibile con dedizione, lavoro duro e grande impegno. Cose che sono alla base per raggiungere qualsiasi traguardo.
Ora che hai vinto tutto, cosa ti resta da portare a casa?
Il nostro vero obiettivo, ogni anno, è quello di vincere il campionato.
Già, vincere. E’ il verbo che Kobe usa di più. Sembrano davvero preistoria le prime apparizioni del numero 24 in maglia Lakers. Quelle, per intendersi, dove il ragazzo tira corto un paio di volte contro gli Utah Jazz, ed il compagno Van Exel attacca il coach Del Harrisper aver fatto gestire al novellino i palloni decisivi. Il vecchio Del, comunque, ci aveva visto bene. E di questo, Kobe, non sembra essersi mai interessato. Forse ha ancora negli orecchi le parole di suo padre, in un italiano stile Dan Peterson, su un campetto della provincia pistoiese: “Tira Kobe, tira.....non fa paura”. E lui iniziò a tirare. Il problema, per gli avversari, è che deve ancora smettere.