In onore al mitico giocatore Paolo Rossi, la nostra esclusiva intervista
Spagna 1982 – Sudafrica 2010, Paolo Rossi racconta i Mondiali
L'ex attaccante nel 1982 fu capocannoniere del Mondiale vinto dagli Azzurri di Bearzot e vinse anche il Pallone d'oro.
In memoria di un simbolo toscano del calcio nazionale e non solo.
Pubblichiamo la nostra esclusiva intervista comparsa nel nostro magazine Pratoreview.
Era una sera di luglio di ventotto anni fa: mentre a Madrid “El hombre del Mundial” stava festeggiando negli spogliatoi del Santiago Bernabeu, Prato aveva appena scoperto di aver dato i natali alla persona che, da qualche giorno, era la più amata d’Italia.
Era l’11 luglio del 1982 e Paolo Rossi, ormai Pablito, aveva appena vinto il titolo di campione del mondo con gli Azzurri di Bearzot e davanti alla casa dei genitori a Santa Lucia ogni barriera alla follia collettiva era caduta, travolta da un entusiasmo che aveva contagiato tutto il paese, da Bolzano a Siracusa:
“Appena sono riuscito a telefonare a casa da Madrid – racconta Rossi – dall’altro capo del filo mi hanno detto che migliaia di persone si erano riversate nelle strade di Santa Lucia per arrivare sotto casa mia e che tutti stavano portando via dal giardino piante, fiori e anche la ghiaia per avere un souvenir della serata. Quel Mondiale ha lasciato un segno indelebile in tutti noi, anche perchè ebbe risvolti sociali importanti, con l’esultanza di Pertini e con gli italiani felici nelle piazze in un momento storico particolare”.
Momenti di ordinaria e travolgente follia che hanno fatto da prologo al ritorno in città di Rossi, accolto come un eroe in piazza del Comune e premiato dalle istituzioni per aver portato il nome di Prato sul tetto del mondo.
Ma quei giorni di luglio sono stati gli ultimi da pratese di Rossi, già giramondo correndo dietro ad un pallone da quando aveva 11 anni e gli si aprirono le porte di una delle più prestigiose società calcistiche toscane, la Cattolica Virtus, alla quale arrivò dal Santa Lucia, dai campi di viale Galilei adesso dedicati al padre di Rossi, Vittorio.
“Mio padre era un pratese orgoglioso della propria città – racconta Pablito – ed è stato tra i più felici di aver visto il nome di Prato così in alto. Purtroppo non ho mai più vissuto in città perchè il lavoro mi ha portato già a 16 anni a Torino, alla Juventus, e da lì si è sviluppata la mia carriera. Non ho il rimpianto per non aver mai giocato nel Prato, anche perchè non c’è mai stata la possibilità, vista la continua permanenza dei biancazzurri in categorie inferiori. Probabilmente era destino, ma se il Prato fosse arrivato in A sarei stato sicuramente contento di giocarci”.
Ma la “sua” Prato, quella degli uliveti di Santa Lucia e della partite improvvisate con il fratello Rossano (in molti dicono che il vero Rossi bravo a giocare a calcio fosse lui. “Era forte, ma è stato un po’ meno fortunato di me...” dice Paolo), non si può dimenticare: “Ogni tanto torno a casa, dove c’è ancora mia mamma Amelia – spiega l’ex centravanti azzurro – ma ormai non riconosco più la città perchè ha avuto uno sviluppo enorme, con tutti i pregi e tutti i difetti. E’ un processo normale che hanno vissuto molte altre città, ma Prato è davvero cambiata tanto”.
Adesso la vita di Rossi si sviluppa su tre direttrici: il calcio, con la collaborazione con Sky, la famiglia, con la figlia di quattro mesi che ha portato una ventata di novità, e l’agriturismo a Bucine, dove produce vino e intrattiene ospiti ed ex compagni in Nazionale.