Il nostro incontro con Ethan Hawke, in Toscana per il suo ultimo film da regista
Lavori e progetti del noto attore e regista statunitense
Il regista Paul Schrader lo ha definito ‘un uomo del Rinascimento’. Perché Ethan Hawke è molte cose insieme: attore, sceneggiatore, regista, produttore, musicista, scrittore. Con quel sorriso da eterno ragazzo, Ethan Hawke ha attraversato il cinema dagli anni ’90 ad oggi. Era uno dei ragazzi dell’Attimo fuggente, giovani cuori intrisi di poesia, che salutavano il loro insegnante Robin Williams salendo in piedi sui tavoli: ‘Oh, capitano, mio capitano!’.
Linklater, il regista texano suo amico, suo complice: quello con il quale ha realizzato i progetti più folli. Come quello di Boyhood, un film girato nell’arco di dodici anni.
Nato in Texas nel 1970, parente alla lontana del drammaturgo Tennessee Williams, Ethan Hawke era il giovane poliziotto, al primo giorno di pattuglia, che finiva in auto con Denzel Washignton in Training Day, il film che gli ha portato la prima nomination all’Oscar. In tutto, saranno quattro.
Incontriamo Ethan Hawke a Lucca, dove ha presentato il suo quarto film da regista, Wildcat, interpretato da Maya, la figlia che ha avuto da Uma Thurman. È sereno, sorridente. Felice di vivere la Toscana. “Lucca è una città perfetta per sentirsi in pace con se stessi”, dice. “Stamattina, con mia moglie Ryan, sono andato a correre lungo le mura di questa città straordinaria. E ieri sono andato in bicicletta. È fantastico, poter vivere così, in un contesto urbano così antico, e insieme potersi sentire in sintonia con la natura, camminare, andare in bicicletta. Vorrei non dovermene andare via”. E prima di andarsene, trova il tempo per una conversazione con Firenze Made in Tuscany.
Ethan, è venuto in Italia a presentare il suo quarto film da regista, Wildcat. Un film molto speciale, perché vede protagonista sua figlia Maya.
Da anni Maya si interessava alla vita di Flannery O’Connor, una scrittrice americana la cui vita è stata devastata dal lupus, una malattia invalidante. Maya ha anche realizzato un cortometraggio su di lei: è in quel momento che ho capito quanto ci tenesse, a raccontare quella storia. E ho deciso di aiutarla, dedicandomi al suo film come regista e come produttore, insieme a mia moglie Ryan.
Non era facile raccontare la vita di Flannery O’Connor…
Esatto, Flannerynon si è mossa quasi per tutta la sua esistenza dalla sua stanza. Ma Maya mi ha fatto capire che c’era tanta storia, tanta azione: solo che accadeva tutta nella sua testa.
Chi era Flannery O’Connor, in poche parole?
Era una scrittrice nata a Savannah, in Georgia. Credeva di essere uno strumento nelle mani di Dio, era molto originale nel suo stile, con immagini e descrizioni vivide. Maya interpreta non solo la scrittrice, ma anche cinque altri personaggi dei racconti della O’Connor. E dà vita a una performance che mi ha emozionato, sia come padre che come spettatore.
Ha da poco finito di girare un nuovo film con il suo amico Richard Linklater. Di che si tratta?
Si chiama Blue Moon, e racconta gli ultimi giorni del paroliere Lorenz Hart, l’autore della canzone che dà il titolo al film. È la sceneggiatura più bella che io abbia mai letto. Racconta di un uomo che ha vissuto con tormento la sua sessualità nell’America degli anni ’40.
Il film narra, in tempo reale, novanta minuti della vita di Lorenz Hart, durante l’anteprima del musical Oklahoma, mentre lui lotta con l’alcolismo e la depressione.
Come definirebbe il suo rapporto con il regista Richard Linklater? Siete amici da molti anni.
Trenta, credo. È un’amicizia forte, che ci ha portato a fare insieme cose che credo siano molto belle. Abbiamo interessi comuni, ci comprendiamo al volo.
Il suo prossimo film?
Vorrei portare sullo schermo Camino real, un dramma del 1946 di Tennessee Williams che vede protagonisti un Don Chisciotte che ha perduto il suo Sancho Panza. Ma vorrei farlo in stile onirico, surrealista, alla Federico Fellini.
Lei ha saputo sempre alternare progetti autoriali e film di impatto popolare: come definirebbe l’arte, nel cinema?
Il primo regista con cui ho lavorato, Joe Dante, con cui ho girato Explorers, mi ha insegnato che non esiste arte ‘alta’ o ‘bassa’. Ogni film, anche un film commerciale, può raccontarci qualcosa di grande. E il regista che ha cambiato la mia vita, Peter Weir, con L’attimo fuggente, mi ha insegnato che la poesia è ovunque, nella vita di tutti i giorni.