Il mondo nuovo di Miuccia
Per la signora della moda italiana è venuto il momento di osare. Anzi di esplodere
Non si è mai voltata indietro. Da quando fa moda, dal finire degli anni Settanta quando riprese in mano la gloriosa griffe di famiglia fondata dal nonno Mario nel 1913, dopo una laurea in scienze politiche alla Statale di Milano, un corso di mimo al Piccolo Teatro e, come tanti giovani della borghesia di allora, una passatella politica sotto bandiera rossa, Miuccia Prada è restata sempre coerente con questo principio che permea tutto il suo stile e il suo mondo creativo.
Guarda avanti sempre questa signora che porta cinquant’anni come una ragazza, schiva e sorridente, severa e aperta, anticonformista eppure attaccatissima alla famiglia, al marito Patrizio Bertelli e ai due figli, Lorenzo e Giulio. Ed è proprio lui, l’imprenditore aretino combattivo e gagliardo col quale fece società nel ’78 e col quale divide tutte le scelte strategiche e culturali del Gruppo Prada, il suo primo fan. “La Miuccia è l’unica stilista che riesce a fare due linee indipendenti e importanti, Prada e Miu Miu, senza fare collezioni di serie A o di serie B”, ha detto subito dopo l’ultimo defilé parigino di Miu Miu, etichetta che in sole quattro stagioni ha raddoppiato il fatturato da 100 a 200 milioni di euro.
Bertelli la pensa come moltissimi altri importanti personaggi del mondo del fashion ma anche come tante persone della strada che riconoscono a Miuccia Prada il coraggio e la coerenza, la grazia moderna e la voglia d’impegno, l’aver rivoluzionato il concetto di classico nell’abbigliamento conservandone i canoni sacri ed inviolabili, senza mai abbandonarsi allo spettacolo e al ridicolo.
Impresa difficile, non impossibile a chi come lei procede con fermezza solo sulla sua strada, allevandosi in seno discepoli che poi si trasformano in concorrenti (vedi Marc Jacobs e Stefano Pilati, ma anche Ivana Omazic che disegna Céline) ma sempre restando la prima della classe, la regina della contemporaneità e della concretezza. Anche quando sogna come nelle due ultime prove, col mondo fantasy della collezione Prada per la prossima estate 2008 e con quello teatrale-ironico per Miu Miu. Per tutte queste qualità Anna Wintour, il diavolo di Vogue America, la definisce “una che si assume i propri rischi” e la celebra nell’olimpo dei veri creativi, unica donna e unica a rappresentare l’Italia.
Miuccia, come si coniugano fantasia e creatività?
In un mondo così vario e complicato come quello di oggi - risponde la stilista col soprabito nero di gazar trasparente e gli immancabili orecchini antichi e preziosi che danno ancora più luce allo sguardo sempre pungente - credo che bisogna aprirsi. Perché la creatività non è altro che l’apertura alle cose del mondo. Anche all’immaginario femminile che magari non è proprio il mio. Adesso sono molto attratta dai nuovi mondi, da questi paesi emergenti dove l’abito è ancora importante e quasi esagerato. Perché lì, nelle persone, c’è ancora quella ossessione per sé che noi europei abbiamo perso e ormai archiviato.
Guardare a questi mondi nuovi ha influenzato le sue ultime collezioni?
Per forza, non poteva essere che così. Perché mi sono domandata se tutto quello che ho fatto finora ha senso per loro che hanno dei riferimenti culturali tanto diversi. E’ stata una scossa, se vogliamo anche un po’ violenta, ma dal confronto esce sempre qualcosa di nuovo. E la velocità con la quale sta cambiando il mondo non poteva che riflettersi nelle ultime collezioni, con forme e colori nuovi, uso di tessuti molli al posto dei miei amati armaturati, lancio di stampe esagerate e sognanti perché, se i paesi ricchi sono in decadenza, nei nuovi mercati come la Russia, il Giappone, l’India e la Cina tutto è superevidente e fantasioso. E la fantasia nei tessuti è la mia risposta al mondo in movimento. Sono stufa di essere come sono. Dobbiamo andare oltre la nostra sofisticata cultura europea.
Lei ha lasciato e continua a lasciare sempre un segno netto e deciso al vestire contemporaneo. Si sente per questo una rivoluzionaria?
No, l’ultima grande rivoluzione nella moda, e forse non solo per la moda, è stata quella della minigonna di Mary Quant, nel ’68. Poi non c’è stato più nulla. Oggi la vera moda si riconosce solo addosso alle persone normali che incontri per strada, non sui modelli in passerella. E i miei sono solo oggetti da indossare. Non do mai, come altri stilisti, icone di riferimento, né al maschile né tantomeno al femminile. E spero sempre di continuare a guardare avanti.
Prima il nylon trasformato in materiale superlussuoso per le borse e i mitici zainetti, poi il minimal intellettuale e concettuale, e ancora la riscoperta del guardaroba classico con riti e gesti moderni, i materiali tecnici abbinati a quelli della couture, il nero ma anche come per questo inverno l’esplosione del colore ai confini del Pop, l’uso di tessuti preziosi e la sfida dell’invenzione perfino della finta pelliccia di mohair. Prima focus sugli accessori, adesso ritorno allo studio delle forme dell’abito… Solo due stagioni fa per Prada la donna era una neofemminista selvaggia, con l’eskimo e gli zoccoli, ora è quasi una bambolina dei fumetti che vive in un mondo incantato. Da dove arriva tanta creatività?
Dal guardare la gente negli occhi, specie i giovani, dalle contaminazioni con l’arte contemporanea che seguo con passione attraverso la Fondazione Prada che ha il compito di trasmettere le più profonde provocazioni mentali dell’arte e della cultura del nostro tempo. E poi dalla volontà di rimettermi a lavorare sui vestiti che, forse, molti di noi stilisti abbiamo perso di vista… Insomma, basta col predominio dell’accessorio sull’abito. Certo questo studio per me passa dal finto bello e dal finto brutto, dal mischiare nella donna tocchi di stile al maschile e viceversa. In una contaminazione che esalta magari pochi pezzi, ma fondamentali.
Quanto le piace andare controcorrente?
Perché, mi succede?
Per l’ultima collezione di Miu Miu a Parigi ha mandato in passerella una bambolina in tutù, tra la coniglietta sexy e il personaggio da commedia dell’arte. Tanti suoi colleghi hanno virato sul romanticismo, sugli anni Venti e Trenta, su eroine alla Lee Miller, sull’America anni Sessanta. Cosa nasconde la donna Prada-Miu sotto il tutù?
Non nasconde niente, esalta la rappresentazione di sé attraverso l’abito che indossa. Non sono più tempi di sobrietà né di signore compassate. E’ invece il momento dell’esplosione della pazzia, dello straripamento come negli anni Ottanta. Eh sì, ho fatto anche la coniglietta. Perché il tema che sento con forza è quello del teatro e delle performance, del vestito come strumento fondamentale della rappresentazione di sé. La gente quando si veste per andare a fare shopping è come se facesse un’uscita di scena, interpretasse la propria parte. Non è peccato fare una comparsata. Ce lo insegnano, ripeto, i nostri nuovi clienti dei paesi più lontani.
Invidiata Miuccia, adorata e criticata in ugual misura. La sua sperimentazione non lascia mai indifferenti perché concilia conservazione e eccentricità. E la sensualità che rifulge nelle sue donne in passerella e per la strada non è mai scontata, per essere sexy anche senza ostentare. Una ricetta che le dà ragione da sempre, che la fa andare come una delle 100 personalità più influenti del mondo sulla copertina di “Time Magazine” nel 2005 e ancora nel 2006 la ritrae sempre con la stessa qualità ma in coppia col marito. Lei la mente creativa, lui quella produttiva e manageriale.