Il grande spettacolo del Carnevale di Viareggio
Emozioni nel backstage della Cittadella del Carnevale di Viareggio
Una sfilata di carri agricoli e carrozze per festeggiare il carnevale all'aperto fra la gente: questa l'idea che il martedì grasso del 1873 portò alcuni giovani bene della Viareggio d'allora a inventare nella Via Regia (da cui Viareggio) quello che sarebbe diventato il Carnevale di Viareggio: evento spettacolare tra i più belli e grandiosi del mondo nato quasi in contemporanea con quello di Nizza.
Tre le leve del successo immediato la location che dal 1905 è quella del lungomare, gli artisti che gravitavano in Versilia e le maestranze, cioè i famosi maestri d’ascia dai vicini cantieri navali della Darsena (disponibili durante l’inverno). Ma anche l’invenzione della carta a calco (comunemente detta cartapesta), nel 1925, un colpo di genio di Antonio D’Arliano che, ben più leggera del gesso, consentì la creazione di carri più grandi e l’inserimento nei carri dei meccanismi di movimento.
Nel 1930 il pittore futurista Uberto Bonetti, disegnò Burlamacco, ispirandosi all’ultima maschera della commedia dell’arte che, nel manifesto del 1931, è in compagnia di Ondina. Da allora quel clown della porta accanto in abito bianco e rosso, mantello nero, cappellone e naso a patata è il simbolo del Carnevale di Viareggio. Un altro elemento identitario della manifestazione è la satira politica, che trova linfa vitale nell’indole dissacratoria dei Toscani.
A Viareggio il lavoro intorno al Carnevale è cosa seria. C’è la Fondazione che lo nutre, promuove, supervisiona e tutela, come una specie di grande madre. Dura tutto l’anno, eccetto i mesi intermedi tra la fine del Carnevale e aprile quando vengono presentati i bozzetti per l’anno successivo. Poi gradualmente prende il via la progettazione, la costruzione delle intelaiature e delle meccaniche per i movimenti, fino a che il carro verso novembre/dicembre comincia ad avere una vera e propria forma. Da Natale in poi si va a ritmo serrato, notte e giorno, e ogni giorno è lunedì.
Un tempo i carri nascevano negli slarghi, un buco tra le case, sotto le logge del mercato o dentro il teatro. Oggi i giganti di cartapesta vengono realizzati in grandi hangar dentro il complesso ellittico della Cittadella del Carnevale, non lontano dal centro.
Una tradizione affettuosa e dal colorato sapore casalingo, vuole che ogni settimana da dicembre in poi, i viareggini “accapino” nel piazzale della Cittadella per controllare l’avanzamento dei lavori. Sono gli affezionati del carnevale, gli amici dei carristi ma anche nonni con i loro nipotini: un bell’andare e venire di gente alla quale, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, nessuno fa opposizione. Anzi, da queste parti le visite, purché discrete, fanno piacere, i carristi sentono il tifo della città.
Da dopo l’epifania in poi, lo spettacolo nella Cittadella si accende, ed è allora un turbillion di prove generali nel grande piazzale ellittico: schiere di ballerini in maschera che provano le coreografie con la musica a tutta canna, carri che escono dagli hangar per vedere l’effetto che fanno, un’aria caotica e gaia da Cinecittà vecchio stile che in anteprima comincia a frizionare l’atmosfera. Le opere che ogni anno concorrono per il podio sono suddivise in quattro diverse categorie: i carri di prima categoria sono dieci, quelli di seconda categoria sono quattro. Vi sono poi nove mascherate in gruppo e sedici maschere isolate.
“Un carro si costruisce in sei mesi tra progettazione e costruzione – spiega Michele figlio di Umberto Cinquini che insieme al fratello Stefano sono noti per i loro progetti innovativi – , la costruzione è un lavoro completo di falegnameria, carpenteria, pittura, scultura e saldatura e qui tutti siamo in grado di fare tutto. E’ un mestiere di squadra, faticoso e per certi versi anche pericoloso, devi avere sempre mille occhi, ma in fondo, è come vivere tutto l’anno in una macchina del tempo che ti porta alle antiche botteghe d’arte”.
Fabrizio Galli, altro costruttore, ci racconta quanto i carri siano macchine complesse: “Quando si sfila, dentro i carri c’è un esercito di addetti ai movimenti, almeno quindici persone invisibili da fuori”. E aggiunge che “negli ultimi anni è ritornata in grande auge la tradizione dei movimenti a mano, con macchine meccaniche (che a guardarle negli hangar sembrano come quelle progettate da Leonardo da Vinci, ndr), perché il carro deve essere vivo. Ogni movimento, come lo sbattere di una palpebra, viene studiato allo sfinimento per farlo risultare più naturale possibile, e a Viareggio siamo i migliori”.
Ma anche la spettacolarizzazione che si genera intorno ai giganti di cartapesta è fondamentale. Ogni carro fa corpo unico con circa 200 figuranti in costume, di cui una settantina ballano a terra a suon di musica con coreografie studiate su misura mentre gli altri stanno sopra. Mentre entriamo nell’hangar di Alessandro Avanzini, figlio d’arte di Silvano Avanzini che negli anni ’60 inaugurò la stagione della satira politica più graffiante della storia del Carnevale, intravediamo tra le sculture di carta in costruzione uno strano intruso. Il “corpo estraneo” è una Proust gigante, la famosa poltrona disegnata da Alessandro Mendini. Questa è alta tre metri almeno. Domanda: che ci fa qui? Risponde serafico il padrone di casa che, tralasciato il graffiante filone paterno fa trasfusioni di arte, ricerca materica e sensibilizzazione sociale al Re Carnevale: “Molti di noi sono artigiani con la A maiuscola, e oltre a occuparsi in primis della sfilata di Viareggio, collaborano con altre realtà: produzioni teatrali, altri carnevali d’Italia, allestimenti per fiere e boutique, o come nel mio caso con firme del design. Del resto - aggiunge Avanzini - questa che la Fondazione ci offre è una grande forma di libertà: nostro compito e desiderio è conquistare il pubblico del Carnevale, ma senza l’obbligo di vendere ciò che facciamo”. E insomma, anche nel XXI secolo, Toscana docet…