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Grand Tour

Cesare Maria Cunaccia

1 Settembre 2010

Grand Tour

I voyager del Settecento che persero la testa per Firenze

Malgrado la centralità della Toscana quale polo attrattivo di viaggiatori e flaneur si sia andata davvero affermando soltanto nel corso del XIX secolo il transito e talvolta il soggiorno nella regione di quanti dal nord scendevano verso Roma e il meridione d’Italia, fu da sempre pressoché obbligato. Se le mete finali di destinazione per gli aristocratici Grand Touristes europei e per gli intellettuali a cavallo tra estremi fasti barocchi e affermazione dell’Illuminismo sono altre, il Granducato non subirà mai alcuna emarginazione dalla stesura degli itinerari, grazie anche a una sorgente attenzione per i centri fino a quel momento considerati minori.

E’ tra Sei e Settecento infatti che esso diviene tappa fondamentale e privilegiata di un giro regolarmente intrapreso dai giovani leoni della nobiltà francese e germanica, ma soprattutto britannica, da artisti, letterati e uomini di cultura. Ben presto dunque scoppia una vera e propria moda del Grand Tour, come viene definito internazionalmente questo percorso di formazione e di esperienza intellettuale e sociale, della durata di un anno e mezzo o due – almeno durante il secolo dei Lumi, poi andò accorciandosi fino agli 8-6 mesi dell’Ottocento - posto a coronamento degli studi umanistici e testimoniato da infiniti cahiers de vojage più o meno pregevoli, da dipinti e ritratti di artisti specializzati. Per la prima volta il termine Grand Tour appare nel Vojage of Italy dell’inglese Richard Lassels, dato alle stampe nel 1670. Ma torniamo alla Toscana.

Stremati dalla discesa, di solito autunnale, attraverso la dorsale appenninica, a
molti grand touristes settecenteschi Firenze finalmente appare come un miraggio. Se per taluni è un incubo o addirittura una delusione, per la maggior parte di essi si rivela quale accumulo senza pari di tesori artistici. Ce lo conferma Edward Gibbon, celebre autore di The Decline and Fall of the Roman Empire, che nel 1764 tratteggia un perfetto itinerario paesistico delle terre attraversate.

Egli si fermò a Firenze per due mesi, proseguendo la sua rotta in direzione di Roma peritandosi di toccare quelle che all’epoca erano ritenute le principali città toscane in quest’ordine: oltre a Firenze, Pistoia, Lucca, Pisa, Livorno e Siena. “Certamente da questa torre (il campanile di Santa Maria del Fiore, ndr) si gode una bellissima visuale - scriveva Gibbon il 23 agosto di quell’anno -. Tutti i principali edifici di Firenze, le mura di cinta della città, la montagna di Fiesole, Prato, il corso dell’Arno e i paesi circonvicini si mostrano con la nitidezza di una carta geografica…” Ci sono perfino casi di amore improvviso e assoluto per la Toscana, come quello che coglie un altro figlio d’Albione, Tobias Smollett, che si stabilisce definitivamente a Livorno, città portuale di fiorente, emancipata borghesia mercantile, ricca di traffici e di idee moderne, centro ebraico importantissimo e sede di una cospicua colonia britannica. 

Stesso dicasi per il germanico Georg Christoph Martini, che trascorse a Lucca circa un ventennio. E se è fatto incontestabile che la strada dei Grand Touristes corresse spedita in direzione Roma, i centri toscani, intrisi d’arte e di storia, lungo il XVIII secolo entrano nel sistema dei luoghi canonici per non uscirne più. Ci sono viaggiatori come Horace Walpole e Thomas Gray che visitano Siena giusto perché costretti a passarvi, essendo diretti nell’Urbe. C’è chi, come nel caso del poeta Joseph Addison, nel 1703, o ancora di Samuel Sharp, stigmatizza, l’enorme potere del clero e il grande peso dell’inquisizione.

Altri, vedi John Boyle, riportano invece pittoresche e curiose usanze locali : “Ad una finestra di ogni grande palazzo fiorentino - ricorda Boyle nel 1754 - è costantemente appeso un fiasco vuoto, per far vedere che il padrone vende il vino. La nobiltà fiorentina riceve il prodotto della propria terra in natura.” La presenza di viaggiatori stranieri a Cortona, tra il ‘700 e l’800 è molto motivata e sofisticata. Vi salgono dalla stazione di posta di Camucia, eccentrici “milordi”, studiosi e appassionati d’archeologia. Pionieri che vi si inerpicano attirati dalle vestigia etrusche e dall’Accademia Etrusca, società intellettuale di prim’ordine fondata nel 1726 da un gruppo di patrizi autoctoni che ebbe per Lucumoni, ossia presidenti, un gratin di cardinali, aristocratici eruditi e membri di case regnanti. Di passaggio per Cortona nel 1802, Joseph Forsyth, tra i più abili estensori di guide sull’Italia, affermava di aver potuto vedere nelle sale dell’Accademia Etrusca il ritratto del connazionale Lord Cowper.

Giorgio di Nassau Clavering, Lord Cowper, era stato Lucumone dell’Accademia tra il 1780 e il 1781. Sempre a Cortona, nel bellissimo Museo dell’Accademia Etrusca si custodisce un superbo autoritratto del grande pittore britannico Johan Zoffany, risalente al 1777. Zoffany, personaggio dalla vita complessa e avventurosa, di autoritratti ne conta ben due, magnifici - in uno si è immortalato in compagnia del suo prediletto cagnolino - anche agli Uffizi di Firenze, testimonianza del lungo soggiorno italiano di sei anni. A Firenze, su commissione della regina Charlotte d’Inghilterra, nel 1772 Zoffany comincia a dipingere un capolavoro tuttora appartenente alle collezioni reali inglesi, che riuscirà a concludere soltanto nel 1777. E’ la famosissima tela raffigurante “La Tribuna degli Uffizi”, una delle opere che racchiudono in assoluto tutta la portata culturale e simbolica del fenomeno Grand Tour.

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