Gareth Pugh. Il suo mondo virtuale
Il principe irriverente della moda inglese
Zip e lacci, piume e pelliccia, facce velate e teste a forma di scatola, ciuffi strabici e anfibi, pierrot lugubri e aculei al posto dei ricami. Abiti come labirinti, gorgere di spille da balia, rossetti blu, gonne che trasformano la donna in una mantide o in un’orca marina, nostalgie elisabettiane e tripudio di tecnologia e lattice. Il principe pazzo della moda inglese arriva a Firenze col suo stile cyber-gotico e le sue mirabolanti performance video dove tutto si crea e tutto si distrugge dentro l’immagine spesso nera, fluttuante, con i corpi tagliati a pezzi e come scomposti, le chiome asimmetriche e le maschere marziane, il vestito liquefatto che si dissolve come inchiostro nell’acqua. Un nuovo stile per un’altra moda, moderna davvero perché sfrutta le tecnologie multimediali e le sostituisce alla noia mortale delle sfilate tradizionali, dando vita a una discussione che è già futuro.
E’ l’effetto Gareth Pugh, star dei nuovi talenti dello stile, che porta a Pitti Uomo e a Pitti Woman il suo concetto estremo dell’abito, ora mantello da vampiro, ora delicata ala di farfalla, con una grinta fuori dal coro che hanno solo quelli che si sono fatti da soli. Come lui, Gareth, nato nel nord dell’Inghilterra a Sunderland da papà poliziotto e mamma impiegata in un call center, il 31 agosto 1981 e oggi candidato a molte direzioni artistiche di famose maison, guardato a vista ad ogni uscita dei suoi video-film dello stile come l’erede di John Galliano e di McQueen ma anche un po’ di Vivienne Westwood e perfino scultoreo come Roberto Capucci, irreverenze di materiali e fogge a parte.
E non meraviglia che abbia scelto di rappresentarsi in cima ad Orsammichele dove il cielo entra dentro le mura rinascimentali offrendo la vista meravigliosa della cupola del Brunelleschi e della torre di Arnolfo, quasi a cercare la scena madre della sua rappresentazione per questa tornata di Pitti, con una rappresentazione che poiché video può stare benissimo sospesa nello spazio e nel tempo. “Per me è stato un grande onore essere invitato da Pitti Immagine - racconta Gareth, pelle chiara e ciuffo che sfiora il mento - e sono felice di contribuire col mio evento all’approccio innovativo di Pitti alla moda. Qui a Firenze mi hanno permesso di sperimentare liberamente”, con quei modelli feticcio che hanno conquistato Kylie Minogue, Lady Gaga e Beyoncé che sfoggiano le sue armature di pelle, plastica e palloncini sul palcoscenico e nella vita, come gli estremisti dell’eleganza, quei pionieri sempre a caccia di abiti impossibili e desiderabili.
Gareth, lei ha frequentato la Central Saint Martins a Londra, lavorando a fianco di colleghi prestigiosi e innovativi. Ma chi sono stati i suoi ispiratori?
Ammiro quei fashion designers che fanno quello che amano. Niente di più.
Il primo incontro con Pitti Immagine è avvenuto tre anni fa a Milano: è vero che lei si divertiva a fare il barman? Sì, ho conosciuto Lapo Cianchi e Raffaello Napoleone durante un evento coi Boombox, e abbiamo ricostruito in zona Tortona l’atmosfera dei locali della comunità creativa dell’East London. Logico che io mi dessi da fare con bottiglie bicchieri e shaker…. Poi l’hanno tenuta d’occhio prima durante gli show a Londra e poi a Parigi. Poi l’invito fiorentino lo ha convinto al debutto in Italia.
La moda è nel mondo, non ha davvero più confini. E poi questa stavolta sarà una fiera digitale dunque in linea con la sensibilità della giovane generazione di creativi alla quale appartengo
Ci può raccontare come sarà questo Show Studio?
No, sciuperei l’effetto sorpresa.
L’ultimo film proiettato a Bercy nell’ottobre scorso ha sostituito il rito del defilé: sono davvero morte le sfilate?
Sì, penso che si debba andare avanti. Ci sono ancora troppe persone restie al cambiamento, il format sfilata purtroppo non si è evoluto molto, e allora penso che sia tempo di scuoterlo un po’. E tanto immobilismo è davvero inquietante: la moda, lo dice la parola stessa,
è sinonimo di cambiamento continuo, di creatività e di innovazione assoluta, perciò non capisco la sorpresa per la mia proposta di evento-film.
Lei veste le popstar. Si diverte a lavorare con la Minogue o con Lady Gaga?
Trovo molto liberatorio creare vestiti di scena. Per queste artiste faccio cose che altrimenti non farei mai. E’ un processo molto interessante.
Se un ragazzo le chiedesse qualche consiglio per diventare stilista?
Gli direi di non fare questo mestiere, costa troppo sacrificio personale. Se però si sente di voler trasformare la propria vita in dedizione assoluta al lavoro allora sì, uno può anche fare il fashion design. Il nostro è un lavoro meraviglioso, che ti
prende tutta la vita. La gavetta è lunga, faticosa. E diventare designer è una conquista che comporta notti insonni e un lavoro durissimo.
Le sue creazioni sono imponenti, quasi scultore…
Vero, forse perché quando studiavo ero indeciso se dedicarmi alla moda o alla scultura. Poi ho pensato che con la moda avrei fatto entrambe le cose.
Fra le sue passioni c’è il ballo, e poi anche il costume per il teatro. E’ vero?
Ballavo che avevo otto anni. Poi a 14 anni bleffando un po’ sull’età sono riuscito ad avere uno stage di costumista all’English National Youth Theatre. Sono sicuro che tutte e due queste esperienze hanno lasciato un segno forte dentro di me.