Gallerie degli Uffizi a Firenze: storia, opere e curiosità
Il nostro percorso alla scoperta di uno dei musei più importanti del mondo e dei suoi capolavori
Dopo quasi due decenni di assenza dalla scena, uno dei protagonisti della collezione di antichità della Galleria degli Uffizi, il grande cavallo marmoreo, scultura romana databile tra la fine del I e gli inizi del II secolo d.C., torna a “nitrire” al centro della sala della Niobe, al secondo piano del museo, esattamente dove aveva troneggiato per un secolo, dagli inizi del Novecento fino al 2006; e, per la prima volta, un nuovo sistema di illuminazione mostra in tutto il loro ricchissimo cromatismo i giganteschi dipinti di Rubens, Suttermans e Grisoni appesi alle pareti, dando contestualmente corpo e lucentezza al soffitto della stanza.
Sono circa 90 le lampade a minimo consumo energetico ed altissima resa cromatica che compongono l’articolato impianto della nuova illuminazione nella Sala della Niobe. Un sistema per la prima volta studiato appositamente per esaltare in modo diretto l’intensità dei colori delle enormi tele Sei e Settecentesche di Rubens, Suttermans e Grisoni, arricchendo allo stesso tempo di una lucentezza finora mai vista gli gli elementi architettonici e le decorazioni dorate del fastoso soffitto. Inoltre, dopo quasi trent’anni dalla loro installazione sono state tolte le tende alle finestre: a sostituirle, pellicole di protezione dei raggi ultravioletti, che consentono di far entrare nella stanza anche la luce naturale, ed ai visitatori di ammirare le vedute del centro di Firenze, nell’ottica del generale riaprirsi del museo alla città.
Furuno costruiti per essere uffici. Li volle Cosimo I, nel 1560 per riunire e tenere sotto controllo magistrature, arti, attività economiche e bonificare anche la zona inequivocabilmente chiamata La Baldracca.
Giorgio Vasari, costruirà un edificio unico nel suo genere a forma di U e cinque anni dopo collegherà, con quasi un chilometro di corridoio sopraelevato, Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti. Da gennaio 2024 il direttore degli Uffizi è Simone Verde, già direttore del Complesso Monumentale della Pilotta della quale ha portato a termine il totale restauro e riallestimento ed ex Responsabile Ricerca scientifica e Pubblicazioni per il Louvre di Abu Dhabi/Afm. (Puoi leggere qui la nostra intervista al direttore Simone Verde).
Tutto ricorda Cosimo I: ritratto da Giambologna come un imperatore a cavallo, da Ammannati come dio dei Mari nella vasca di Nettuno e da Cellini come Perseo che tiene lontani i nemici mostrando la testa di Medusa. La riapertura è prevista per Maggio 2024.
Mentre gli Uffizi diventano subito luogo di rappresentanza. Buontalenti realizzerà per il figlio Francesco il primo museo (per pochi eletti) nella Tribuna e per il fratello Ferdinando il Teatro di Corte al primo piano. Ma si dovrà aspettare Pietro Leopoldo dei Lorena e il 1765 per avere il primo museo aperto a tutti. E soprattutto lo si deve a Anna Maria Luisa, che nel 1737, alla morte del fratello Gian Gastone stipulerà coi nuovi granduchi un Patto impegnandoli, a non toccare il patrimonio artistico.
Altri motivi motivo per ritornare agli Uffizi sono la riapertura del Corridoio Vasariano (trovate tutte le informazioni qui) e al primo piano dodici sale dedicate agli autoritratti e ritratti di artisti, dal Quattrocento al Ventunesimo secolo, video artisti e fumettisti inclusi. Il percorso, che offre una selezione di oltre 250 opere, tra dipinti, sculture, installazioni e grafica, è l’occasione per far scorrere davanti agli occhi i grandi protagonisti dell’arte: tra questi Andrea del Sarto, Federico Barocci, Luca Giordano, Rubens, Rembrandt ma anche Francesco Hayez, Eugène Delacroix, Arnold Böcklin, Marino Marini. Qui tutti i capolavori di queste nuove sale da non perdere.
Prima di un excursus più approfondito delle varie sale del museo, scopri la nostra selezione dei dieci capolavori imperdibili degli Uffizi, il nostro viaggio alla scoperta delle opere con l'ex direttore Eike Schmidt e il nostro approfondimento sul Giardino di Boboli.
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SECONDO PIANO
Proprio all'ingresso del secondo piano, dopo 200 anni ‘risorge’ e torna visibile a tutti, ricostruito nella sua forma originale, uno dei più celebri spazi della Galleria degli Uffizi dedicati all’antichità classica: il Gabinetto dei marmi, contenente una selezione delle più importanti sculture romane della collezione medicea e reso unico dalla serie di rilievi incastonati nelle sue pareti.
Tra le varie opere esposte figurano capolavori come i due rilievi con le vendite di cuscini e di tele provenienti da una tomba dell’Esquilino di età flavia, la figura di pastore seduto, in origine parte di un ninfeo monumentale di prima età imperiale, o l’accurata riproduzione del tempio di Vesta fiancheggiato dal fico ruminale. Magnetica poi la raffigurazione di Zeus Ammone, divinità sincretistica di età ellenistico romana, che costituiva parte della decorazione scultorea del Foro di Augusto a Roma e che viene ora restituita alla visibilità del pubblico dopo un lungo periodo di permanenza nei depositi; lo splendido torso in basalto verde dello Wadi Hammamat, forse la migliore replica del Doriforo di Policleto giunta fino ad oggi, o lo Spinario, una delle sette copie note di questo singolare tipo scultoreo tardo ellenistico, la cui più celebre replica è oggi conservata ai Musei Capitolini, a Roma. Lo spazio accoglie inoltre alcune sculture da molto tempo non esposte: tra queste la statuetta raffigurante Menandro seduto, una delle sole tre copie note di questo modello iconografico elaborato ad Atene nel III secolo a.C. e il gruppo di Ermafrodito e Pan, vivace composizione di epoca proto imperiale probabilmente creata per la decorazione di un giardino.
CORRIDOIO EST
Giotto e il primo ‘400 (Sale A4 - A7)
La visita inizia dal secondo piano, seguendo uno sviluppo cronologico da fine '200 con le Maestà di Duccio, Cimabue e Giotto che emerge potente. Vedete la sua Madonna come ci guarda? Com'è viva, com' è mamma? La Madonna ha seni prosperosi. Nessuno prima di Giotto aveva azzardato fare tanto. Mentre il senese Duccio apre il capitolo del Gotico Cortese, quello in voga nelle corti europee: elegante e decorativo. E' l'arte che trionfa nell'aristocratica repubblica senese.
Come si capisce davanti all'Annunciazione di Simone Martini: qui trionfa l'oro. L'angelo è appena atterrato e annuncia l'Evento a Maria che si ritrae intimorita. Ma il messaggio è inciso nell'oro come un fumetto. L'angelo però regge un ramo d'ulivo e non il consueto giglio simbolo mariano, che resta confinato nel fondo. La stranezza è presto svelata: il giglio era l'emblema della nemica Firenze. Ed è ancora gotico cortese il preferito dai signori fiorentini come Palla Strozzi, che per la sua cappella in Santa Trinita chiama Gentile da Fabriano. Siamo nel 1423, l'arte rinascimentale muove i primi passi, ma l'intellettuale amante delle lettere è un aristocratico e così vuole un'Adorazione che trabocchi di ricchezza, la sua. Ogni dettaglio è definito con grazia ed eleganza compreso il suo ritratto.
Masaccio e Filippo Lippi (Sale A8-A9)
Ma il vento del Rinascimento è troppo potente. Ecco Masaccio con la Madonna del Solletico. È l'erede, a un secolo di distanza, di Giotto: la sua è una donna vera che gioca col figlioletto. La prospettiva scientifica di Brunelleschi trova in Paolo Uccello un appassionato seguace. Nel Disarcionamento di Bernardino della Carda nella Battaglia di San Romano (una delle tre grandi tavole presenti anche alla National Gallery di Londra e al Louvre) realizzate per Lionardo Bartolini Salimbeni passate poi a Lorenzo il Magnifico. Nella tavola le vie di fuga si accavallano. Pare che l'artista fosse così interessato alla prospettiva da dimenticare i doveri coniugali. Nella stessa sala troviamo Domenico Veneziano, Beato Angelico e Filippo Lippi. Il frate carmelitano che s'innamora della monaca Lucrezia Buti ritratta nella Madonna col Bambino dove l'angioletto malizioso rivolto verso di noi altri non è che Filippino. Un ritratto di famiglia che è anche una pietra miliare dell'arte. Il fondo oro ha ceduto il posto al paesaggio che si snoda dalla finestra dove la Madonna, riccamente vestita è seduta di profilo.
Il Pollaiolo e Piero della Francesca (Sala A9- A10)
Ed eccoci nella stanza dei Pollaiolo, dove l'attenzione è catalizzata dal dittico di Piero della Francesca con i Duchi d'Urbino, siamo nel 1472. Lei è Battista Sforza, appena morta di parto, lui è Federico da Montefeltro, capitano di ventura, condottiero, mecenate. Piero raffigura la coppia (il dittico era chiudibile) di profilo come i grandi della Roma antica. Ma se in lei, dal volto terreo della morte, trionfa la delicatezza, il ricamo delle vesti e dei gioielli, in Federico è un susseguirsi di volumi. Sullo sfondo il paesaggio dipinto dal vero.
Sandro Botticelli (Sale A11-A12)
Ed ecco Botticelli. E' lui l'artista neoplatonico per eccellenza alla corte del Magnifico. E ci racconta quel mondo pagano che la filosofia di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola avevano attualizzato. Quella bellezza che è amore assoluto, contemplativo e di fatto irraggiungibile. La Primavera ispirata alle Metamorfosi di Ovidio e rilette da Agnolo Poliziano per le Stanze, dedicate all'ingresso in società di Giuliano dei Medici. Incerta la datazione: forse il 1478 prima della congiura o il 1482 anno della ritrovata pace. Quasi sicuramente l'opera viene commissionata dal Magnifico per il matrimonio del cugino Lorenzo con Semiramide Appiani ritratta come Flora. Va letta da destra verso sinistra con Zefiro che si fonde con Clori trasformandola in Flora, la dea della Primavera. Ma la primavera è rinascita della natura ed ecco dunque Venere (Fioretta Gorini, madre del futuro papa Clemente VII). Sopra di lei, dispettoso Eros bendato scaglia a casaccio un dardo verso le Tre Grazie, col volto di Simonetta Vespucci e infine Mercurio, il dio della conoscenza, forse Giuliano, che con un piccolo bastone spazza via le nubi dal cielo mediceo. E poi la Nascita di Venere. Realizzata su tela quasi sicuramente intorno al 1482 dopo il ritorno di Botticelli da Roma, dove ha potuto vedere una statua di Venus Pudica che ricrea per dare corpo all'essenza dell'amore platonico col volto di Simonetta sua musa ispiratrice. Argomento tutto pagano? Non proprio. La conchiglia, simbolo mariano, potrebbe essere il legame con la cristianità. Ecco l'Adorazione dei Magi con la famiglia Medici al completo e il Trittico Portinari di Hugo Van Der Goes (sala A13) che metterà in contatto i fiorentini con l'arte fiamminga, allusiva e inquadrata in una prospettiva a volo d'uccello. E infine la Tribuna dove venivano conservate le opere più preziose. Realizzata da Buontalenti vuole ricreare per Francesco il Cosmo. Il pavimento di marmi pregiati e pietre dure evoca la Terra, la volta con seimila conchiglie dell'Oceano Indiano e il tamburo con 2500 madreperle rimanda all'Acqua, le pareti coperte di velluti cremisi mimano il Fuoco e infine la lanterna i Cieli.
Non lontano dai capolavori Botticelliani, una selezione di trentuno dipinti, allestita in tre ambienti affrescati raccontano l’arte 'quasi fotografica' dei pittori belgi, olandesi e tedeschi del Quattro e Cinquecento: tra questi, Dürer, Cranach, Memling, Froment e Van Der Wyeden. Questo nucleo pittorico, tra i più importanti d’Europa, fu riunito nelle sale di levante nei primi decenni dello scorso secolo da Roberto Salvini, direttore degli Uffizi nel secondo dopoguerra, cui spetta il merito di averlo posto in dialogo con i maestri della scuola italiana, rendendo evidenti suggestioni e reciproche influenze secondo un approccio che allora venne definito 'internazionalista' e che ora si direbbe 'globale' alla storia dell’arte. L'allestimento odierno intende riproporre tale connessione e illustrare le modalità espressive della cultura rinascimentale nell'Europa del nord - Fiandre, Olanda, Germania, a confronto con le opere del Quattrocento fiorentino.
CORRIDOIO SUD
Un meraviglioso affaccio sull'Arno.
CORRIDOIO OVEST
Leonardo (sala A35)
Le sale del secondo '400 si aprono con Ghirlandaio (sala A25) che dai Fiamminghi prende la cura dei dettagli e la narrazione da cronista, Perugino (sala A27), Cosimo Rosselli (sala A26) e Filippino Lippi (sala A28) e la sua Adorazione dei Magi che nel 1496 sostituirà, per San Donato l'opera che Leonardo lascia incompleta nel 1482 quando va a Milano da Ludovico il Moro. E vediamo dunque la sua Adorazione. Dopo un lungo restauro l'opera ha svelato inattese novità. Come le parti colorate. L’artista, nella sua naturalezza, coglie i sentimenti più profondi di quanti assistono alla nascita del Messia. C'è chi è incredulo, chi terrorizzato, chi preoccupato, chi dubbioso. Leonardo sperimenta qui i suoi studi di fisiognomica inserendoci anche un autoritratto. In lontananza un tempio pagano semidistrutto e una battaglia tra cavalieri. Grazie al punto di fuga disassato, l'occhio coglie tutte le scene. Nell'Annunciazione, introduce la prospettiva aerea. Lo spazio è come lo percepisce l'occhio umano: la distanza offusca i contorni. Così come immerge i corpi nella natura che prendono volume attraverso uno sfumato continuo senza contorni netti. Ma gioca anche con effetti ottici: la Madonna va guardata da destra perché altrimenti apparirà disarticolata, con il braccio destro esageratamente lungo.
Michelangelo e Raffaello (sala A38)
Ed eccoci a tu per tu con Michelangelo. Agli Uffizi c'è una sola opera il Tondo Doni. L'ex direttore del Museo Eike Schmidt ha voluto unire, confermando lo svolgersi cronologico e tematico delle sale, Michelangelo e Raffaello. Il Sanzio intorno al 1504 arriva a Firenze proprio per vedere Leonardo impegnato nella Battaglia di Anghiari e Michelangelo in quella di Cascina per Palazzo Vecchio. Michelangelo lo giudica un insopportabile ficcanaso, ma Raffaello inizia con piccole commissioni che esegue scopiazzando soprattutto Leonardo. Come la Madonna del Cardellino e i ritratti dei coniugi Doni. La sua capacità di rendere tutto apparentemente semplice, sarà chiamata Sprezzatura. In realtà è frutto di un attento studio dei dettagli e movenze in un armonico equilibrio. I Doni sono gli stessi che commissionano a Michelangelo il celebre tondo. Unica opera su tavola finita. La forma rievoca il desco da parto, un vassoio per la puerpera. E' qui che Michelangelo sperimenta la pittura scultorea ottenuta abbinando colori a contrasto, primari e cangianti che vanno a definire muscolature potenti su figure serpentinate, come nell'infinito tentativo di liberarsi dalla materia. Alla fine del corridoio, insieme alla copia del Lacoonte di Baccio Bandinelli e citato anche da Michelangelo nel Tondo Doni, troviamo anche il Porcellino, o meglio la copia romana di un cinghiale greco. Il piano sfocia sulla terrazza sopra la Loggia dei Lanzi, un tempo giardino pensile ,da cui quasi si tocca Palazzo Vecchio.
State aperte tre nuove sale del Secondo Piano per raccontare Andrea del Sarto, Fra Bartolomeo e i pittori fiorentini del primo Cinquecento. Raccolta intorno al capolavoro La Madonna delle Arpie, una selezione di oltre 20 dipinti tratteggia la maestria poliedrica della scuola toscana che aprì la strada alla ‘maniera moderna’, al genio di Raffaello e alla fase più matura del Rinascimento.
PRIMO PIANO
Volendo si può uscire, passando per le nuove scale realizzate da Natalini che conducono direttamente all’esterno. Ma se volete capirci un po’ di più sull’eredità che i tre grandi maestri hanno lasciato all’arte dovete assolutamente tornare nell’atrio che divide le sale di Leonardo da quella di Michelangelo e Raffaello e scendere al primo piano. Dopo anni è stato riaperto lo scalone del Buontalenti dove, volutamente, è stato lasciato il segno impresso da una finestra scagliata dalla furia devastante della bomba di mafia ai Georgofili del 1993.
Le nuove sale. Andrea del Sarto (sala D2), Pontormo e Rosso Fiorentino (sala D4)
La scala ci conduce nelle sale aperte nel ‘21. E qui l’atmosfera si fa intima, ovattata. Sale piccole, foderate di scuro che ci invitano a guardare l’arte con uno spirito più libero. In fondo ci troviamo a tu per tu coi manieristi che i malevoli critici di tutti i tempi hanno etichettato come copioni. Eppure è proprio grazie alla loro capacità di citare e mischiare, di prendere spunto o copiare Raffaello, Leonardo e Michelangelo, solo per raccontarsi in maniera diversa, che hanno definitivamente aperto le porte all’arte moderna. Quattordici nuove sale riallestite con circa 130 opere di cui almeno un terzo da tempo nei depositi. Eccoci nell’area dedicata ad Andrea del Sarto. A cui finalmente viene dato lo spazio necessario per capire come l’artista fiorentino si sia ispirato sia a Leonardo, con la Madonna delle Arpie realizzata nel fatidico 1517 (anno delle 99 Tesi di Lutero) saldamente piazzata sull’apocalittico Pozzo dell’Abisso e sia a Michelangelo quando, quasi a fine carriera, lavora alla maestosa Pala di Vallombrosa: le figure s’ingigantiscano mentre il paesaggio sparisce. Si ispira invece a Fra Bartolomeo (che a sua volta aveva ispirato Raffaello) Plautilla Nelli, la monaca domenicana che recuperando i disegni di Fra Bartolomeo lascia a Firenze un segno nell’arte pulita e severa post savonaroliana _, a cui è dedicato uno dei corridoi dove campeggiano i preziosi, quanto rari monocromi su tela di Del Sarto e Pontormo. Ma torniamo un attimo indietro e incontriamo Rosso
Fiorentino e Pontorno. Allievi di Del Sarto e emuli, a modo loro, di Michelangelo, Raffaello e Leonardo, vi aggiungono il tormento di anni turbolenti: siamo tra la Riforma protestante e la Controriforma cattolica. E benché Pontormo a differenza di Rosso fosse caro ai Medici, entrambi sono considerati quantomeno strani e poco rassicurati. Così come poco rassicuranti possono apparire le figure che si rincorrono nel Sogno della vita umana e allegoria del tempo che Venusti e Allori riprendono pari pari da un disegno di Michelangelo. Quella di Allori è dipinta, emulando il maestro Bronzino, dietro uno dei rarissimi ritratti di Bianca Cappello.
Le sale del Cinquecento Romano (D6)
Ma prima che le pareti virino al verde, bisogna incontrare Daniele da Volterra, più noto come Braghettone per aver coperto i nudi di Michelangelo, di cui però era un fan sfegatato tanto da riprendere figure intere, come l’Elia nel Deserto per esempio. O la Carità di Francesco Salviati, che ricorda da vicino il Tondo Doni. Siamo infatti arrivati nella sezione dedicata ai seguaci di Michelangelo e Raffaello del periodo romano. E tra questi, oltre a Giulio Romano che raccoglie il testimone da Raffaello non poteva certo mancare Sebastiano del Piombo che lavorerà per Agostino Chigi alla Villa Farnesina insieme a Raffaello di cui diverrà un vero e proprio antagonista. Se infatti la giovanile Morte di Adone lo vede fortemente debitore del tonalismo veneto di Giorgione e Tiziano, si farà poi sempre più emulo di Michelangelo.
Corridoio dei Marmi (D7)
E non abbiate fretta d’incontrare Tiziano, fate prima un salto nel corridoio dei Marmi (altra novità delle sale) perché rimarrete stupefatti dalle preziose tavolette (al tempo dipinte) di epoca augustea dove protagonista è la vita quotidiana. E i più curiosi sono sicuramente il venditore di arredi e il commerciante di stoffe.
Correggio e Parmigianino (sala D8)
Eccoci quindi tra gli emiliani, dal Correggio a Parmigianino e alla sua incompleta Madonna dal Collo lungo dove si ritrovano sia Raffaello che Michelangelo, e soprattutto l’ironico Dosso Dossi, certamente il più divertente col suo Ercole messo alla berlina.
Sala del Pilastro (D15)
Lasciarsi poi catturare dalla Sala del Pilastro è facile: le pareti bianche e l’ambiente luminoso fanno da calamita. L’idea è quella della chiesa rinascimentale. Infatti sono qui alcune grandi tele, in massima parte rettangolari, come indicato dal Concilio di Trento e che rappresentano la breve ma significativa stagione dell’arte della Controriforma prima che venisse ingoiata nelle luminescenza barocche. Gli artisti, tra cui anche una riapparsa (dopo 10 anni di oblio) Madonna del Popolo di Federico Barocci, dovevano evidenziare, senza gli orpelli manieristi, l’evento miracoloso di cui si parlava, scelto tra i più significativi della vita di Cristo e dei vari santi. La forma rettangolare aveva infatti questo scopo. La sala offre dunque uno spaccato significativo di quella rivoluzione che interessò, sotto la direzione del Vasari, le chiese conventuali fiorentine nella seconda metà del ‘500. Si persero gli antichi altari e i tramezzi, ma in compenso l’ambizioso duca Cosimo I ottenne il titolo di Granduca.
La sala degli autoritratti (sala C14)
Solo un assaggio per ora, ma gli autoritratti faranno poi parte di ulteriori nuove sale in via di allestimento. Intanto possiamo divertirci a guardare quegli antenati dei selfie che da Bernini al Cigoli, e dalla Anguissola alla Vigéè Le Brun a Guttuso e fino a Chagall e Yayoi Kusama ci invitano a immaginarli a chiacchierare con noi.
I veneti, Tiziano (sala D22), Veronese (sala D25)e Tintoretto (sala D24). Un tributo ai Medici
Le nuove sale proseguono con i grandi spazi dedicati all’arte tonale veneta, non prima di soffermarsi Bronzino e i secondi manieristi, Vasari in primis e nella sala dedicata alla dinastia medicea. Ad affiancare il nuovo allestimento per Tiziano e la sua Venere di Urbino, ci sono ora, finalmente tornate visibili anche le opere del teatrale Veronese, dell’intrigante Giorgione e del complesso Tintoretto che recupera il disegno e scurisce i toni. E finalmente, abbandonando lo scetticismo di Vasari per cui il disegno primeggiava su tutto, ci possiamo lasciare trascinare in quel gioco di colori, di toni su toni che danno vita a corpi e volti. Così non mancano i naturalisti veneti, tra cui spicca una modernissima Venere di Licinio che si stenta a credere sia cinquecentesca.
Artemisia Gentileschi e Caravaggio (sale D29-D32)
Siamo ormai nel ‘600 e ad accoglierci è la vendicativa Giuditta intenta a decapitare Oloferne della più brava tra tutti i caravaggeschi: Artemisia Gentileschi. La pittrice romana, nota per aver subito uno stupro e un matrimonio riparatore, trova protezione nella Firenze di Cosimo II. Toccante la sua Giuditta in cui si autoritrae. Il suo vate è Caravaggio. Nel Sacrificio di Isacco Caravaggio usa quella sua tecnica filmica dove il fascio di luce blocca il momento più drammatico: l'Angelo che ferma la mano di Abramo nell'atto di colpire il figlio. L'ultima opera prima di uscire è il Galileo anziano e stanco ritratto da Giusto Sustermans artista di corte di Ferdinando II.