Con Ariel Hagen alla scoperta di Borgo Santo Pietro
Piatti inaspettati in una cornice magica: il giovane chef ci apre le porte della tenuta e ci anticipa qualche curiosità sull'apertura di Borgo Santo Pietro Saporium a Firenze
Classe 1993, Ariel Hagen inizia la sua carriera nella cucina dello chef Nicola Dolfi. Dopo diverse esperienze in Toscana, decide di partire per il Belgio all'Osteria Romana di Bruxelles, entra nel mondo della cucina francese con Le Passage (una stella Michelin) di Rocky Renaud a Ukkel, per poi tornare in Italia sulle Dolomiti con Norbert Niederkofler al St. Hubertus (tre stelle Michelin) negli anni della conquista delle tre stelle e dello sviluppo della filosofia Cook the montain. L'ultima esperienza come Sous chef del mentore Gaetano Trovato all'Arnolfo (due stelle Michelin) di Colle Val d'Elsa, ha permesso al suo talento e alla sua passione di liberarsi e di creare i propri piatti d'autore.
Da circa un anno e mezzo è approdato a Borgo Santo Pietro per esaltare l'arte della cucina farm-to-plate che trascende l'ambito culinario e si applica all'intera tenuta e alla foresta adiacente per creare un ambiente auto-sostenibile con un approccio a rifiuti zero.
Un'esperienza di fine dining che celebra la giustapposizione di piatti più delicati con creazioni inaspettatamente riempitive: un viaggio emozionale per il palato che adesso arriva anche a Firenze con l'apertura di Borgo Santopietro Saporium.
Scopriamo insieme ad Ariel la sua filosofia in cucina e cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova apertura a Firenze.
Dove nasce il tuo amore per la cucina?
Nasce dal gusto e dall’armonia di casa. Mia nonna ha scritto due libri sulla cucina, soprattutto ebraica, in casa nostra non è mai mancato il buon cibo. Io ho smesso in età precoce di andare a scuola, perché volevo seguire questa forte passione che sentivo. Tutto nasce dal mio istinto, sono autodidatta, ho cominciato da giovanissimo, avevo 16 anni.
Sei giovanissimo anche adesso, qual è stata la prima esperienza?
Tutto parte da una punizione (ride, ndr). Dato che non volevo proseguire gli studi ho iniziato a seguire il ristorante dove lavorava mia sorella, La Taverna degli Assi sotto Piazzale Michelangelo, da Nicola Dolfi, che è stato il mio primo maestro. Ci sono stato un bel po’ di tempo ed è stata un'esperienza davvero fondamentale per me, lì ho imparato la vera cucina toscana, a gestire tanti coperti, a fare i fritti, sughi e stracotti, a sperimentare e fare tanti assaggi. La mia introduzione nel mondo delle cucine è iniziata lì.
Poi sei arrivato al fianco di Norbert Niederkofler al St. Hubertus, come è stato lavorare con lui?
La definirei quasi una relazione d’amore, alti e bassi ma quando poi ti capisci tutto ha un senso. È stato molto difficile, eravamo negli anni della terza stella e non sapevamo che sarebbe arrivata. Posso dire che lì sono diventato un uomo. Quando sono entrato ero molto giovane ma lui mi ha spronato, avevo una lista infinita di cose da fare ma oltre a questo dovevo presentare sempre, ogni giorno, una nuova mousse entro mezzogiorno. Dopo tanti giorni non sapevo più cosa fare, allora mi ha dato un libro sui vegetali - proprio dà lì è nato l’amore per l'orto che ho ritrovato anche con Arnolfo - e ho cominciato a tirare fuori idee. Un esercizio bellissimo che racconto sempre ai ragazzi che lavorano con me, perché per me è stata una grande sfida.
Gli ultimi 3 anni e mezzo alla corte di Arnolfo a Colle Val d’Elsa sono stati molto importanti per la tua crescita professionale, che cosa hai appreso dalla cucina di Gaetano Trovato?
È stata un'esperienza davvero meravigliosa. Quando sono arrivato ero diventato junior Sous Chef da St. Hubertus, Gaetano mi mise subito alla prova in cucina, presentai 3 piatti e un anno dopo mi disse ‘ma quel cavolfiore col piccione te la senti di rifarlo?’. È lì che ho capito perché mi aveva assunto, gli avevo fatto tre piatti di cui si era subito innamorato, due vegetariani e un piccione che è il suo piatto più iconico.
Adesso come è guidare un ristorante così importante?
Mi rendo conto di avere in mano qualcosa di così grande e importante da quello che mi racconta il cliente e gli apprezzamenti delle persone che vengono al ristorante. Faccio sempre il giro dei tavoli come mi ha insegnato Gaetano con il ben arrivati, il buon appetito e la buonanotte. Sono innamorato di quello che faccio, sono giovane e ho con me un gruppo davvero affiatato, c'è un feeling bellissimo tra di noi.
Quali sono i piatti che porta nel suo menù dalle sue esperienze passate?
Tanta pasta fresco, da Gaetano l’ho perfezionata tantissimo, per me rappresenta l’italianità, l’artigianalità e l’umiltà di un cuoco. La pasta fresca nelle sue declinazioni, nell’eleganza del farla, del presentarla e del cuocerla. Dalla pasta ripiena al tagliolini, fino ad arrivare alle sfogliate e ai risotti che ho imparato a fare nella stufa a legna del St. Hubertus. E ancora le carni rosse, la selvaggina, e tutto il rispetto per l’animale intero con il ciclo del no waste.
L'accesso alla tenuta, al grande orto e alle coltivazioni del Borgo ti dà l'opportunità di creare un menu unico...
C'è tanto impegno dietro a quell'orto e a quella tenuta, tutto quello che si vede è un lavoro che inizia un anno prima e per me ha un fascino unico e speciale. Puoi utilizzare ad esempio non solo il cavolo, ma anche le foglie, il tubero, mi dà modo di creare quello che voglio. È una grande fortuna!
Come connubi tradizione e innovazione nella tua cucina?
La tradizione per me è fondamentale, la cosa bella però è giocare con la tradizione e cercare sempre di rispettarla, arricchendola grazie alle tecniche più moderne.
Tre piatti che ti raccontano e identificano il tuo menù
Sicuramente il tagliolino al koji e fiori di sambuco è il piatto che mi rappresenta di più, è molto emotivo ed elegante e richiama quello che sono io. Poi la pappardella ripiena, piatto che ho inventato quando ero da Gaetano e che ho legato alla tradizionale pappardella toscana, è un piatto valido per tutte le stagioni. E infine l’animella di vitello, mirtilli rossi, alloro e consommé montato.
Che cosa dobbiamo aspettarci da Borgo Santo Pietro Saporium a Firenze?
Il mio obbiettivo è portare un po’ di Borgo a Firenze e permettere a più persone di conoscere la magia di questo luogo, voglio portare i miei piatti storici dell’inverno e della primavera e continuare la connessione con il nostro orto.