Alla scoperta della Galleria degli Uffizi, direttamente da casa tua
Un percorso inedito e chiaro dedicato ai più grandi capolavori della storia dell'arte, con una guida d'eccezione
Furono costruiti per essere uffici. Li volle Cosimo I, nel 1560 per riunire e tenere sotto controllo magistrature, arti, attività economiche e bonificare anche la zona inequivocabilmente chiamata La Baldracca.
Giorgio Vasari, costruirà un edificio unico nel suo genere a forma di U e cinque anni dopo collegherà, con un chilometro di corridoio sopraelevato, Palazzo Vecchio a Pitti. Tutto ricorda Cosimo I: ritratto da Giambologna come un imperatore a cavallo, da Ammannati come dio dei Mari nella vasca di Nettuno e da Cellini come Perseo che tiene lontani i nemici mostrando la testa di Medusa.
Mentre gli Uffizi diventano subito luogo di rappresentanza. Buontalenti realizzerà per il figlio Francesco il primo museo (per pochi eletti) nella Tribuna e per il fratello Ferdinando il Teatro di Corte al primo piano. Ma si dovrà spettare Pietro Leopoldo dei Lorena e il 1765 per avere il primo museo aperto a tutti. E soprattutto lo si deve a Anna Maria Luisa, che nel 1737, alla morte del fratello Gian Gastone stipulerà coi nuovi granduchi un Patto impegnandoli, a non toccare il patrimonio artistico.
Corridoio Est
Si parte, seguendo uno sviluppo cronologico da fine '200 con le Maestà di Duccio, Cimabue e Giotto che emerge potente. Vedete la sua Madonna come ci guarda? Com'è viva, com' è mamma? La Madonna ha seni prosperosi. Nessuno prima di Giotto aveva azzardato fare tanto. Mentre il senese Duccio apre il capitolo del Gotico Cortese, quello in voga nelle corti europee: elegante e decorativo. E' l'arte che trionfa nell'aristocratica repubblica senese.
Come si capisce davanti all'Annunciazione di Simone Martini: qui trionfa l'oro. L'angelo è appena atterrato e annuncia l'Evento a Maria che si ritrae intimorita. Ma il messaggio è inciso nell'oro come un fumetto. L'angelo però regge un ramo d'ulivo e non il consueto giglio simbolo mariano, che resta confinato nel fondo. La stranezza è presto svelata: il giglio era l'emblema della nemica Firenze. Ed è ancora gotico cortese il preferito dai signori fiorentini come Palla Strozzi, che per la sua cappella in Santa Trinita chiama Gentile da Fabriano. Siamo nel 1423, l'arte rinascimentale muove i primi passi, ma l'intellettuale amante delle lettere è un aristocratico e così vuole un'Adorazione che trabocchi di ricchezza, la sua. Ogni dettaglio è definito con grazia ed eleganza compreso il suo ritratto.
Ma il vento del Rinascimento è troppo potente. Ecco Masaccio con la Madonna del Solletico. E' l'erede, a un secolo di distanza, di Giotto: la sua è una donna vera che gioca col figlioletto. La prospettiva scientifica di Brunelleschi trova in Paolo Uccello un appassionato seguace. Nel Disarcionamento di Bernardino della Carda nella Battaglia di San Romano (una delle tre grandi tavole presenti anche alla National Gallery di Londra e al Louvre) realizzate per Lionardo Bartolini Salimbeni passate poi a Lorenzo il Magnifico.
Nella tavola le vie di fuga si accavallano. Pare che l'artista fosse così interessato alla prospettiva da dimenticare i doveri coniugali. Nella stessa sala troviamo Domenico Veneziano, Beato Angelico e Filippo Lippi. Il frate carmelitano che s'innamora della monaca Lucrezia Buti ritratta nella Madonna col Bambino dove l'angioletto malizioso rivolto verso di noi altri non è che Filippino. Un ritratto di famiglia che è anche una pietra miliare dell'arte. Il fondo oro ha ceduto il posto al paesaggio che si snoda dalla finestra dove la Madonna, riccamente vestita è seduta di profilo.
Ed eccoci nella stanza dei Pollaiolo, dove l'attenzione è catalizzata dal dittico di Piero della Francesca con i Duchi d'Urbino, siamo nel 1472. Lei è Battista Sforza, appena morta di parto, lui è Federico da Montefeltro, capitano di ventura, condottiero, mecenate. Piero raffigura la coppia (il dittico era chiudibile) di profilo come i grandi della Roma antica. Ma se in lei, dal volto terreo della morte, trionfa la delicatezza, il ricamo delle vesti e dei gioielli, in Federico è un susseguirsi di volumi. Sullo sfondo il paesaggio dipinto dal vero.
Ed ecco Botticelli. E' lui l'artista neoplatonico per eccellenza alla corte del Magnifico. E ci racconta quel mondo pagano che la filosofia di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola avevano attualizzato. Quella bellezza che è amore assoluto, contemplativo e di fatto irraggiungibile.
Ecco la Primavera ispirata alle Metamorfosi di Ovidio e rilette da Agnolo Poliziano per le Stanze, dedicate all'ingresso in società di Giuliano dei Medici. Incerta la datazione: forse il 1478 prima della congiura o il 1482 anno della ritrovata pace. Quasi sicuramente l'opera viene commissionata dal Magnifico per il matrimonio del cugino Lorenzo con Semiramide Appiani ritratta come Flora. Va letta da destra verso sinistra con Zefiro che si fonde con Clori trasformandola in Flora, la dea della Primavera.
Ma la primavera è rinascita della natura ed ecco dunque Venere (Fioretta Gorini, madre del futuro papa Clemente VII). Sopra di lei, dispettoso Eros bendato scaglia a casaccio un dardo verso le Tre Grazie, col volto di Simonetta Vespucci e infine Mercurio, il dio della conoscenza, forse Giuliano, che con un piccolo bastone spazza via le nubi dal cielo mediceo.
E poi la Nascita di Venere. Realizzata su tela quasi sicuramente intorno al 1482 dopo il ritorno di Botticelli da Roma, dove ha potuto vedere una statua di Venus Pudica che ricrea per dare corpo all'essenza dell'amore platonico col volto di Simonetta sua musa ispiratrice. Argomento tutto pagano? Non proprio. La conchiglia, simbolo mariano, potrebbe essere il legame con la cristianità. Ecco l'Adorazione dei Magi con la famiglia Medici al completo e il Trittico Portinari di Hugo Van Der Goes che metterà in contatto i fiorentini con l'arte fiamminga, allusiva e inquadrata in una prospettiva a volo d'uccello.
E infine la Tribuna dove venivano conservate le opere più preziose. Realizzata da Buontalenti vuole ricreare per Francesco il Cosmo. Il pavimento di marmi pregiati e pietre dure evoca la Terra, la volta con seimila conchiglie dell'Oceano Indiano e il tamburo con 2500 madreperle rimanda all'Acqua, le pareti coperte di velluti cremisi mimano il Fuoco e infine la lanterna i Cieli.
Corridoio Sud
Un meraviglioso affaccio sull'Arno.
Corridoio Ovest
Le sale del secondo '400 si aprono con Ghirlandaio che dai Fiamminghi prende la cura dei dettagli e la narrazione da cronista, Perugino, Piero Rosselli e Filippino Lippi e la sua Adorazione dei Magi che nel 1496 sostituirà, per San Donato l'opera che Leonardo lascia incompleta nel 1482 quando va a Milano da Ludovico il Moro. E vediamola dunque. Dopo un lungo restauro l'opera ha svelato inattese novità.
Come le parti colorate. Leonardo, nella sua naturalezza, coglie i sentimenti più profondi di quanti assistono alla nascita del Messia. C'è chi è incredulo, chi terrorizzato, chi preoccupato, chi dubbioso. Leonardo sperimenta qui i suoi studi di fisiognomica inserendoci anche un autoritratto. In lontananza un tempio pagano semidistrutto e una battaglia tra cavalieri. Grazie al punto di fuga disassato, l'occhio coglie tutte le scene. Nell'Annunciazione, introduce la prospettiva aerea. Lo spazio è come lo percepisce l'occhio umano: la distanza offusca i contorni. Così come immerge i corpi nella natura che prendono volume attraverso uno sfumato continuo senza contorni netti.
Ma gioca anche con effetti ottici: la Madonna va guardata da destra perché altrimenti apparirà disarticolata, con il braccio destro esageratamente lungo. Ed eccoci a tu per tu con Michelangelo. Agli Uffizi c'è una sola opera il Tondo Doni. Il direttore del Museo Eike Schmidt ha voluto unire, confermando lo svolgersi cronologico e tematico delle sale, Michelangelo e Raffaello. Il Sanzio intorno al 1504 arriva a Firenze proprio per vedere Leonardo impegnato nella Battaglia di Anghiari e Michelangelo in quella di Cascina per Palazzo Vecchio. Michelangelo lo giudica un insopportabile ficcanaso, ma Raffaello inizia con piccole commissioni che esegue scopiazzando soprattutto Leonardo.
Come la Madonna del Cardellino e i ritratti dei coniugi Doni. La sua capacità di rendere tutto apparentemente semplice, sarà chiamata Sprezzatura. In realtà è frutto di un attento studio dei dettagli e movenze in un armonico equilibrio. I Doni sono gli stessi che commissionano a Michelangelo il celebre tondo. Unica opera su tavola finita. La forma rievoca il desco da parto, un vassoio per la puerpera. E' qui che Michelangelo sperimenta la pittura scultorea ottenuta abbinando colori a contrasto, primari e cangianti che vanno a definire muscolature potenti su figure serpentinate, come nell'infinito tentativo di liberarsi dalla materia. Alla fine del corridoio, insieme alla copia del Lacoonte di Baccio Bandinelli e citato anche da Michelangelo nel Tondo Doni, troviamo anche il Porcellino, o meglio la copia romana di un cinghiale greco. Il piano sfocia sulla terrazza sopra la Loggia dei Lanzi, un tempo giardino pensile ,da cui quasi si tocca Palazzo Vecchio.
Primo Piano
Volendo si può uscire, passando per il nuovo scalone realizzato da Natalini, oppure proseguire con le sale del '500 e '600. Si incontrano così i grandi Manieristi: Andrea del Sarto, Rosso Fiorentino e Pontorno che copiano Michelangelo, Raffaello e Leonardo aggiungendovi il tormento di anni turbolenti: siamo tra la Riforma di Lutero e la Controriforma Cattolica. Si prosegue con Bronzino che ritrae la famiglia di Cosimo I con Eleonora e due dei loro dieci figli e lo stesso granduca in armatura da condottiero.
Lasciamoci coinvolgere da Tiziano e la sua pittura tonalista. Lui non usa il disegno e ottiene il chiaroscuro abbinando tonalità diverse dello stesso colore. Come nella celebre Venere di Urbino. Siamo alla vigilia del Concilio di Trento e la giovane donna nuda e languidamente sdraiata, che ci guarda con aria di sfida ci lascia sconcertati. Ma ha uno scopo preciso: serviva per istruire la giovane Giulia Varano, sposa di Guidobaldo II della Rovere alle arti amatorie.
Di ben altro spessore è la vendicativa Giuditta intenta a decapitare Oloferne della più brava tra tutti i caravaggeschi: Artemisia Gentileschi. Siamo in pieno '600 e la pittrice romana, nota per aver subito uno stupro e un matrimonio riparatore, trova protezione nella Firenze di Cosimo II. Toccante la sua Giuditta in cui si autoritrae. Il suo vate è Caravaggio. Nel Sacrificio di Isacco Caravaggio usa quella sua tecnica filmica dove il fascio di luce blocca il momento più drammatico: l'Angelo che ferma la mano di Abramo nell'atto di colpire il figlio. L'ultima opera prima di uscire è il Galileo anziano e stanco ritratto da Giusto Sustermans artista di corte di Ferdinando II.