The Uffizi masterpieces portrayed with Chiara Ferragni
Everything you need to know about the exclusive Vogue Honk Kong shooting
Firenze e gli Uffizi si sono trasformati in un set ideale per la fashion influencer e imprenditrice digitale Chiara Ferragni, protagonista della nuova cover di Vogue Honk Kong.
“Sono così felice di condividere finalmente queste immagini stupende scattate in uno dei musei più prestigiosi nel mondo", sono queste le parole con cui Chiara Ferragni ha presentato sui social le foto realizzate agli Uffizi per l'esclusivo shooting di Vogue Hong Kong.
A invitarla a partecipare al progetto è stata la First Initiative Foundation, che le ha permesso di posare sullo sfondo delle iconiche opere di Botticelli per celebrare "Botticelli and his times – Masterworks from the Uffizi", la mostra inaugurata il 23 ottobre all'Hong Kong Museum of Art.
Un viaggio accanto ad alcune delle opere più celebri dell'iconico artista rinascimentale, che vogliamo scoprire con voi.
Nascita di Venere, Sandro Botticelli, sale 10-14, Galleria degli Uffizi
La Nascita di Venere è senza dubbio una delle opere d’arte più famose ed amate del mondo. Dipinta da Sandro Botticelli tra il 1482 e il 1485, è diventata un simbolo della pittura del 400 italiano, così densa di significati allegorici e richiami all’antichità. Iniziamo con una curiosità: la protagonista è, come nella Primavera, Simonetta Cattaneo Vespucci, nobildonna genovese amata da Giuliano de' Medici, il fratello minore di Lorenzo il Magnifico, e idolatrata da Sandro Botticelli, che ne fece la sua Musa, rendendola eterna nei suoi più famosi dipinti. Il tema deriva dalla letteratura latina ed esattamente dalle Metamorfosi di Ovidio. Venere è ritratta nuda su una conchiglia che solca la superficie del mare; a sinistra volano i venti con una cascata di rose, a destra un’ancella (Ora) aspetta la dea per vestirla. Nel prato si scorgono delle violette, simbolo di modestia e spesso usate per fare pozioni d’amore. Vi si coglie quindi un significato filosofico legato al neoplatonismo: l’opera rappresenterebbe la nascita dell’Amore e della bellezza spirituale come forza motrice della vita. L’iconografia della Venere è sicuramente derivata dal tema classico della Venus Pudica che timidamente si copre le parti intime e che trova un suo corrispettivo in scultura nella statua di Venere dei Medici alla Galleria degli Uffizi. Dietro l’interpretazione colta del dipinto si può sicuramente leggere un’ode alla famiglia fiorentina che commissionò l’opera: l’inizio del regno di Amore arriva a Firenze proprio grazie ai Medici e alla loro diplomazia e cultura.
Primavera, Sandro Botticelli, sale 10-14, Galleria degli Uffizi
Questo celebre capolavoro mostra nove figure della mitologia classica che incedono su un prato fiorito, davanti a un bosco di aranci e alloro. In primo piano a destra, Zefiro abbraccia e feconda la ninfa Clori, raffigurata poco oltre nelle sembianze di Flora, dea della fioritura. Dominano il centro della composizione, leggermente arretrati, la dea dell’amore e della bellezza Venere, castamente vestita, e Cupido, raffigurato bendato mentre scocca il dardo d’amore. A sinistra danzano in cerchio le tre Grazie, divinità minori benefiche prossime a Venere, e chiude la composizione Mercurio, il messaggero degli dei con indosso elmo e calzari alati, che sfiora col caduceo una nuvola. L’opera celebra l’amore, la pace, la prosperità. La vegetazione, il cui colore scuro è in parte dovuto all’alterazione del pigmento originale, è rischiarata dall’abbondanza di fiori e frutti. Sono state riconosciute ben 138 specie di piante diverse, accuratamente descritte da Botticelli servendosi forse di erbari. La cura per i dettagli conferma l’impegno profuso dal maestro in quest’opera, confermato anche dalla perizia tecnica con cui è stata realizzata la stesura pittorica. Realizzata su un supporto di legno di pioppo, l’opera si trovava alla fine del XV secolo nella casa in via Larga (oggi via Cavour) degli eredi di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico; stava appeso sopra piccolo letto o meglio una sorta di cassapanca con schienale caratteristica dell’arredamento delle residenze signorili rinascimentali. Passò poi nella villa di Castello, dove Giorgio Vasari nel 1550 la descriveva insieme alla Nascita di Venere.
Ritratto d'uomo con medaglia di Cosimo il Vecchio
Dipinto realizzato intorno all’anno 1475. L’opera si trova agli Uffizi dal 1666, anno in cui morì il proprietario, il cardinale Carlo de’ Medici, che la inserì nei beni da andare in eredità. L’autografia del dipinto, fu accettata all’unanimità dagli studiosi di Storia dell’arte, della quale, Morelli e Frizzoni (1888) ne furono i principali sostenitori. Per quanto riguarda l’identificazione dell’effigiato, vi furono diverse ipotesi come quelle in cui alcuni ci vedevano personaggi appartenenti alla famiglia de’ Medici (Piero di Lorenzo, Giovanni di Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso), altri, Pico della Mirandola, altri ancora Niccolò Fiorentino, Michelozzo e Cristoforo Geremia, questi ultimi, i tre presunti esecutori del disco che il personaggio tiene fra le mani. L’ipotesi più vicina alla realtà potrebbe essere quella che identifica Antonio, fratello dell’artista. Il pittore, ritrae il soggetto girato di tre quarti verso sinistra, con gli occhi rivolti verso lo spettatore, mentre con le mani trattiene una grande medaglia di Cosimo de’ Medici. Il vestito che indossa è molto scuro, ed a giudicare dai dettagli, sembrerebbe essere molto costoso e ben fatto, e di conseguenza ricollegabile all’alta borghesia di Firenze del Quattrocento. Alle spalle del protagonista, si nota un piccolo scorcio naturale con un fiume che scorre, e con il cielo che tende a schiarirsi verso l’orizzonte. La medaglia costituisce un indizio molto importante per l’analisi di questo quadro; essa è stata coniata nel 1465, quando Cosimo de’ Medici è stato nominato “Pater Patriae” proprio nel 1465, solo un’anno dopo la sua morte.
Sala della Niobe, secondo piano, Galleria degli Uffizi
Secondo il mito greco, Niobe, figlia di Tantalo e moglie di Anfione, re di Tebe, aveva quattordici figli, sette femmine e sette maschi. La donna era talmente orgogliosa della sua prole che osò ridere della dea Latona, che aveva solo due figli, le divinità Apollo e Artemide. Per punire la sua superbia, Latona mandò proprio i suoi due figli, incaricati di uccidere quelli di Niobe. Con archi e frecce, Artemide mirò alle femmine e Apollo ai maschi. Secondo alcune versioni, li uccisero tutti, secondo altre un fanciullo e una fanciulla riuscirono a salvarsi. Il poeta latino Ovidio narra che per il terrore, Niobe si tramutò in un blocco di marmo, e le sue lacrime di dolore diedero vita a una fonte, sul monte Sipilo, in Lidia. Le statue che danno nome alla grande Sala della Niobe – al secondo piano della galleria – furono rinvenute a Roma, presso porta San Giovanni, nel 1583. Il cardinale Ferdinando de’ Medici, futuro granduca di Toscana, le comprò immediatamente per la sua villa romana. Intorno al 1770, le sculture giunsero a Firenze.
Nel 1780, in pieno periodo neoclassico – quando a Firenze si respirava un’importante aria di rinnovamento artistico – venne allestita, dall’architetto Gaspare Maria Paoletti, la sala dove sono tuttora esposte. Le statue sono allineate lungo le pareti, distanziate tra loro per permettere al visitatore di ammirarle isolatamente, sacrificando in parte i rapporti intercorrenti tra le varie opere. Le dodici statue rappresentano in maniera drammatica e teatrale i personaggi in fuga o colpiti a morte. Il centro focale del gruppo è Niobe, che tenta di proteggere la figlia più piccola, e dirige lo sguardo atterrito e supplichevole verso il cielo. Nel 2013 la sala ha subito un importante restauro, che ha consolidato le arcate del soffitto. Oggi i visitatori ammirano gli stucchi dorati, i marmi chiari del pavimento che fanno risaltare la forte luce naturale che entra dai finestroni che si affacciano su via Lambertesca.