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July 12, 2012

Le pagelle di Gabriele D'Annunzio al convitto Cicognini di Prato

Alunno modello tra i banchi di scuola

Quella pagella avrebbe reso orgoglioso qualunque genitore. Fogli di carta consumata dal tempo, cifre numeriche impresse in punta di penna stilografica e incasellate accanto al nome dell’alunno, trasudano quasi 150 anni di storia. Escono dai preziosi archivi del Convitto Cicognini, raccontano di un timido ragazzino dodicenne che varcò la soglia del collegio nell’ottobre 1874 e lì rimase per sette anni, quanto basta per forgiarsi il carattere.

Il voto più basso? La media del 7 a filosofia, durante gli anni del liceo, il top è 10 a disegno a mano nell’anno 1879-1880. Sì, parliamo proprio di lui, del poeta-Vate, del cantore de “La pioggia nel pineto” che del Cicognini fu uno dei convittori più illustri; e di D’Annunzio quest’anno ricorre il 150esimo anniversario dalla nascita.

Così, se giugno è mese in cui la maggior parte degli studenti saluta la scuola, siamo andati a curiosare tra carte e scartoffie per ricostruire la carriera scolastica di uno studente “speciale”, dal triennio ginnasiale (era l’antico ordinamento della nostra scuola media) fino all’ultimo anno di liceo classico.

Un piccolo tesoro che la bibliotecaria del ConvittoMafalda Magli, ben custodisce, patrimonio prezioso di un’istituzione che l’anno scorso ha compiuto 620 anni. Scavando nel materiale, ritroviamo sbiaditi scatti in bianco e nero che facevano parte della corrispondenza epistolare tra il piccolo Gabriele, il padre Francesco Paolo e la madre Luisa (la famiglia, durante la permanenza del figlio a Prato, continuò a vivere a Pescara).

Tra i ricordi batte il cuore del bimbo dodicenne che prova nostalgia per la madre, tanto da inciderle in penna una dedica sulla foto: “A mamma cara. Questa immagine lontana dal giovinetto che le somigliava”.

Era la matricola 53 Gabriele, quella che faceva i capricci per le porzioni scarse di cibo e riusciva sempre a distinguersi fra i compagni, vuoi perché per la sua bravura in classe, vuoi per l’atteggiamento di “insofferenza” verso la vita di collegio. E le punizioni fioccavano, eccome se fioccavano. Basta scorrere i rapporti disciplinari che, con cadenza bimestrale, davano i giudizi sulla condotta degli alunni.

Gabriele era uno che le combinava grosse, come dimostrano quelle quattro punizioni inflitte fra il marzo e aprile del 1876, unico caso in tutta la sua classe. «Studia, condotta morale da riguardare e poca disciplina», si legge sul rapporto del professore. E con i provvedimenti disciplinari del collegio all’epoca non si scherzava. Capitava non di rado che Gabriele si desse alla fuga sui tetti del Convitto, con la complicità del carceriere.

Più il ragazzo cresceva, più metteva giudizio: nel 1881, ultimo anno di liceo, Gabriele portò a casa una sola punizione. «Studia assai, poca disciplina, di buona morale, pulito», scriveva di lui il professore in un rapporto disciplinare datato 1881, quando ormai la vita in collegio per d’Annunzio era agli sgoccioli. Frugando fra le carte d’archivio, ci s’imbatte in una relazione del 1879 a firma del Rettore che fotografa bene il temperamento di D’Annunzio sui banchi del Convitto.

In seconda liceo (quarta superiore), «il D’Annunzio – si legge – studia assai, guadagna tutti i giorni, è di memoria tenace. Spero molto in lui, se proseguirà gli studi sarà dei primi in tutte le discipline. Non è cattivo, cura molto l’onore e, richiamato al dovere con metodi corretti torna facilmente sul retto pensiero». Che a scuola D’Annunzio fosse una cima è cosa risaputa ma forse non tutti sanno che anche il sommo poeta aveva il suo tallone d’Achille. Nell’ultimo anno di liceo (1880-1881) guadagnò sulla pagella finale soltanto un 7 a filosofia e un 7 ad aritmetica, 8 nel resto delle materie.

E pensare che due anni prima, aveva portato a casa tutti 9, a greco a latino come a italiano e a storia, soltanto 8 ad aritmetica mentre a filosofia non è mai andato oltre il 7. Cos’era cambiato? Allo studio, in realtà, Gabriele aveva iniziato a concedere meno tempo, giusto la notte, al lume di candela. Nel bel mezzo della vita di collegio fiorì il genio del grande poeta che, a 16 anni, convinse il padre a stampare a spese proprie i primi componimenti inneggianti alla sensualità.

Il volumetto, intitolato “Primo vere”, girò fra le mani dei compagni liceali e anche in quelle del professor Del Seppia che convocò subito il direttivo del Collegio, preoccupato per le conseguenze negative sul buon nome del Convitto che avrebbero potuto produrre quei versi troppo “libertini”. D’Annunzio se la cavò con una semplice ammonizione. Eppure, dai suoi insegnanti Gabriele trovava sempre il modo per farsi apprezzare: le foto di classe dell’epoca lo ritraggono con la divisa di convittore in stile quasi militare, sempre accanto all’insegnante di turno.

E fuori dal Convitto si era già fatto un nome: spuntarono le prime recensioni letterarie sul sedicenne D’Annunzio, dopo l’uscita di quelle 16 odi intonate all’amore sensuale che tanto fecero scalpore. Erano gli esordi della celebrità in erba che nel suo cuore avrebbe portato sempre un pezzo di Prato.

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