La Firenze degli anni Trenta e Quaranta
Una città che serba ancora oggi incanto e profumi, raccontata attraverso lo sguardo dello storico giornalista Pier Francesco Listri
Nato a Livorno il 5 agosto del 1932 e scomparso l'8 marzo nella sua casa fiorentina, Pier Francesco Listri è uno dei volti storici del giornalismo toscano e nazionale. Caporedattore e firma di primo piano de La Nazione, ma anche de Il Giornale, Il Sole 24 ore, L’Espresso, Il ponte, collaborando poi a Radio Rai come regista, conduttore e produttore di programmi culturali. Tanti i riconoscimenti, dal Fiorino d'Oro nel 2017 al Pegaso della Regione Toscana.
Ripubblichiamo il suo intenso racconto di una Firenze passata, all'interno del numero 10 del nostro Firenze Made In Tuscany.
C’è una Firenze che, nella memoria dei fiorentini e di alcuni stranieri più agé, serba ancora oggi incanto e profumi. E’ la Firenze di quel lasso di tempo fra gli anni ‘30 e ‘40 del secolo passato, periodo stretto fra due guerre mondiali e segnato, per buona parte, dal regime fascista. I due decenni sono fra loro diversissimi.
Sereno e costruttivo il primo, travolto dagli orrori della guerra il secondo. Il primo vide nascere le architetture migliori del Novecento fiorentino. Il secondo vede tutti i suoi ponti, tranne uno, distrutti dalla furia nazista, e tutti i quartieri devastati da ben sette bombardamenti. L’ultima parte degli anni Quaranta mostrò apertamente una Firenze orgogliosa e determinata a ricostruire, dopo lo scempio bellico, strade, ponti, case e soprattutto coscienze.
Gli anni Venti videro quindi una intensa attività architettonica, la città era ferma al tempo del viale Michelangelo del Poggi e del centro risanato di fine Ottocento. Dopo una breve folata e dopo l’episodio sgradevole della Biblioteca Nazionale, eclettismo neobarocco, ecco che s’impongono due nuove strutture, lo stadio sportivo di Luigi Nervi (scale elicoidali, tettoia sospesa, torre di Maratona. del 1931) e la stazione di Santa Maria Novella, 1932-34, un classico del razionalismo, progettata a più mani ma comunemente detta di Giovanni Michelucci. Mentre il previsto risanamento del quartiere di Santa Croce sfuma quasi nel nulla, nasce invece un terzo esemplare edificio, la Scuola di Guerra Aerea delle Cascine, dell’architetto Fagnoni, anni 1937-39.
Il profilo tranquillo della Firenze di allora non cambia di molto. I larghi viali al posto delle mura, le ottocentesche malinconiche ma eleganti piazze alberate, d’Indipendenza (ex Barbano) e d’Azeglio, la corona dei villini borghesi nella prima periferia, quartiere di Savonarola e della Mattonaia. Da un lato quindi l’alta intatta, mirabile collina di Fiesole, dall’altro il Piazzale Michelangelo con la bellissima basilica di San Miniato. E la lama lucente dell’Arno che come un’antica fucina, tanti erano i lavatoi e i tiratoi, è diventato dall’Ottocento, con la costruzione dei lungarni, un paesaggio romantico e struggente incastonato tra il Ponte Vecchio e il meno suggestivo ma altrettanto bello ponte a Santa Trinita, capolavoro cinquecentesco dell’Ammannati. Non ci son più presso il fiume, né il Lachera venditore di pere cotte né la Beppa fioraia, ora corrono le canzoni di Spadaro e del maestro Cesarini Sull’Arno d’argento e Firenze stanotte sei bella.
Intanto la Firenze cosmopolita del turismo più colto si arricchisce di due gioielli: è nato il Maggio Musicale Fiorentino, qui esordiranno la Callas e Riccardo Muti e, nel glorioso Parterre, già sede delle mostre d’arte dette Le primaverili, debutterà negli anni Trenta la grande Mostra dell’Artigianato. Con l’estate quando la città si riempie di turisti, la buona borghesia fiorentina trasloca a Viareggio, grazie alla messa a punto della moderna Autostrada Firenze-Mare.
Poi la guerra e un nuovo capitolo si apre con la stupenda tradizione degli artigiani del centro e dell’Oltrarno e un manipolo di ingegni che frequentano i caffè letterari, storico Le Giubbe Rosse. Sono uomini come Vittorini, Rosai, Papini, Cicognani, Pietro Annigoni, con la sua prima mostra alla Galleria Bellini nel 1939, Montale, Gadda, Primo Conti, Pratolini. I cui monumenti non furono mura, ma restano ancora più impressi fra noi. Per sempre.