Capucci Dionisiaco – Disegni per il teatro
In occasione di Pitti Immagine Uomo, a Palazzo Pitti, nelle sale dell'Andito degli Angiolini, dal 9 gennaio al 14 febbraio 2018. Scopri la nostra intervista!
Si apre in occasione del 93° Pitti Immagine Uomo, un’altra mostra che conferma la stretta collaborazione fra il Ministero dei beni culturali e del turismo, la Galleria degli Uffizi e la moda, iniziata già lo scorso anno con la mostra Fashion in Florence curata anche dal Gruppo Editoriale.
Capucci Dionisiaco – Disegni per il teatro, ha come sede espositiva l’Andito degli Angiolini al Palazzo Pitti di Firenze e si chiuderà il 14 febbraio prossimo. La rassegna si compone di 72 opere su carta di grande formato che aprono le porte a un Roberto Capucci inedito rispetto al couturier conosciuto come maestro dell’alta moda.
Roberto Capucci inedito rispetto al couturier conosciuto come maestro dell’alta moda. Un repertorio di disegni di costumi maschili per il teatro che sin dagli anni Novanta ha raccolto in assoluto silenzio dando libero sfogo a una sfrenata fantasia. Un insieme di “follie” come lo stesso Capucci le definisce, che ha deciso di presentare in quella Firenze dove il lontano 1951 vide la sua prima sfilata in quell’evento di moda ideato dallo straordinario marchese Giorgini padre delle sfilate in Sala Bianca.
Il titolo della mostra, Capucci Dionisiaco, è suggerito dal carattere misterioso e ambiguo dei costumi; il tratto figurativo mostra la sapienza grafica del maestro e la sensibilità dei suoi accostamenti cromatici. Ripubblichiamo un articolo uscito su Roma Magazine n. 13, in cui abbiamo avuto la possibilità di parlare a quattr’occhi con Roberto Capucci.
Ci racconta come ha iniziato?
Fu grazie a Maria Foschini che si occupava di alto artigianato e aveva una rivista dedicata proprio all’artigianato. Io ero titubante, giovanissimo appena vent’anni, volevo fare architettura, inoltre mia madre non voleva che io mi occupassi di moda e non vedeva nemmeno di buon occhio la mia amicizia con una signora tanto più grande di me. La Foschini mi disse ‘le porto io una tagliatrice, delle lavoranti e anche qualche cliente’, mi affascinò l’idea, aprii il primo atelier in via Sistina, fu lì che ebbi le prime clienti, Isa Miranda, Doris Durante, Franca Rame. Dopo venne la principessa Pallavicini, fu la mia prima grande cliente e con lei arrivò tutta l’aristocrazia.
Ci ricorda i suoi inizi a Firenze e l’incontro con Giovanni Battista Giorgini?
Era un uomo molto saggio, esportava all’estero l’alto artigianato italiano. Maria Foschini sapeva che Giorgini esortava le sartorie a non copiare le collezioni di Parigi ma a creare in modo autonomo. La praticità di Giorgini decretò la nascita della moda italiana con la sfilata di Palazzo Pitti del 1951. La Foschini gli portò tutti i miei disegni, lui volle subito conoscermi, avevo 21 anni ero un bambino e ne dimostrano ancora meno. Non poteva inserirmi nel calendario della famosa sfilata ma disse che avrei dovuto vestire le sue figlie e sua moglie. Realizzai per l’occasione cinque abiti. Fu il mio debutto.
Nel 1962 inaugura il suo atelier di Rue Cambon a Parigi, vive al Ritz dove soggiorna anche Coco Chanel. Ci ricorda gli anni parigini?
Si, anche se Chanel viveva nella suite ed io in una stanza più modesta. Avevo molte clienti e compratori a Parigi, l’Europeo mandò Oriana Fallaci ad intervistarmi, scrisse un articolo bellissimo dal titolo ‘il traditore con le forbici’.
Ma poi tornò in Italia, perché?
Confesso di essere sempre stato un mammone. Ho adorato il suo carattere forte, in quel periodo aveva bisogno di me, era sola, vedova per la seconda volta e le fu anche affidata dal giudice la bambina, figlia di mio fratello. E poi era molto pesante per me fare su e giù Roma-Parigi ogni mese, a Roma avevo una grande clientela.
In Italia mi dovetti scontrare con la questione della pubblicità, del marketing che io non conoscevo. Mi affidavo ai tessili, il tessile comprava le pagine pubblicitarie ma ero obbligato a usare i loro tessuti che non corrispondevano ai miei gusti, io ho sempre privilegiato le tinte unite. Quando ho una stoffa con i disegni non riesco a lavorarla, amo le tinte unite perché mi piace proprio la materia, plissetarla, lavorarla, tingerla, con gli stampati non è possibile. Ero molto in crisi mi dissi o chiudo o continuo per conto mio. Detti le dimissioni dalla Camera della Moda, fu uno scandalo. Ricominciai come volevo io, con i miei tessuti, le mie follie e mi andò bene. Ebbi prenotazioni dai musei di tutto il mondo, fu una cosa molto bella perché mi interessava più raggiungere quella meta. E poi ero libero, esponevo fuori calendario, senza schemi..
Cosa vuol dire essere alla moda per Capucci?
Per me chi segue la moda, è fuori moda! Amo le donne che hanno carattare, amavo la Mangano perché aveva uno stile inconfondibile, una classe sua e pensare che era di famiglia povera. Lei non vestiva alla moda ma con vestiti belli, che le stavano bene. Si dice ‘va di moda’ ma io direi ‘ti sta bene questa moda?’ Io dico alle donne di mettere in risalto ciò che hanno di bello perché non è il vestito che porta la cliente, ma è la cliente che porta il vestito!
Cosa è l’eleganza per Roberto Capucci?
È avere personalità, insieme all’intelletto, alla spiritualità.
Il suo rapporto con la città di Roma?
Roma è una città stupenda ma ridotta davvero male. Io mi rifugio in questa mia casa da dove vedo Sant’Andrea della Valle, Castel Sant’Angelo, l’Accademia di Francia. Leggo, disegno, guardo i colori dei fiori sul terrazzo, sto bene qui.
Se dovesse descrivere lo stile Capucci?
È lo stile Capucci. Non voglio piacere a tutti. Su un invito per una importante mostra a New York scrissi una frase di Schiller: “Se quello che fai o crei non piace alle masse non importa cerca di piacere a pochi, è un errore cercare di piacere a tutti”.