Il Corridoio Vasariano raccontato da Antonio Natali
Il Direttore degli Uffizi è la nostra guida d’eccezione, per un percorso tra arte e meraviglia
Dalla Galleria si accede attraverso una grande porta sulla sinistra: siamo nel miracolo di architettura cinquecentesca che è il Corridoio Vasariano, un percorso sopraelevato che trafigge come una freccia il cuore di Firenze. Aperta la porta, le scale a strapiombo e una ferita, inferta dalla bomba dei Georgofili, che solca l’opera caravaggesca all’inizio del percorso. La forza dell’esplosione l’ha scossa come una vela, mandando in frantumi parte del colore e trasformandolo in tristi coriandoli irrecuperabili.
Si rintracciano le figure accorate, i chiaro scuri intensi, le rotondità degli angeli, tutto forse reso ancor più intenso da quel misfatto della notte tra il 26 e il 27 maggio 1993. Accanto al quadro una scritta: “ città colpita al cuore, non uccisa” recitano i versi di Mario Luzi. Li ha voluti lì, accanto al quadro, il direttore degli Uffizi, Antonio Natali, guida d’eccezione per questa visita molto speciale.
Attraversiamo veloci il primo tratto: ancora ferite, piccoli squarci che si aprono sulle grandi tele seicentesche irreparabilmente danneggiate e sui busti che portano impresse cicatrici recenti. “Il quadro all’entrata lo abbiamo rintracciato in un opuscolo del’67, stampato subito dopo l’alluvione. Il titolo era Salvati dalle acque“ racconta il direttore, e la voce è attraversata quasi dal rimpianto di non essere riusciti a salvarli per una seconda volta. La pittura del ‘600 - ‘700 scorre sulle pareti: mentre parliamo del Vasari colori e figure si intrecciano in un unico affresco.
Ognuna di queste opere meriterebbe molte pagine dedicate, tale è la bellezza dei tratti e l’armonia dei colori. Alcune sono copie dell’epoca, spiega ancora il direttore, quando una copia era fatta da grandi maestri e acquistava spesso analogo valore dell’originale. “Il Vasari era un manager” esordisce precisando che non ama questo abuso di parole straniere. Ma non c’è parola contemporanea che definisca meglio la figura di questo architetto che in soli 5 mesi ideò e costruì questo passaggio che nasce agli Uffizi, prende corpo in via della Ninna, diventa tetto alle botteghe di Ponte Vecchio, costeggia la Torre dei Mannelli – e la pietra rosata fiorentina s’innesta sul bianco del Corridoio – si affaccia sulla Chiesa di Santa Felicita, attraversa le case dei Guicciardini, arriva al giardino di Boboli e a Palazzo Pitti.
Dal ‘500 al ‘900, 450 volti dei grandi maestri della pittura e della scultura scandiscono un viaggio attraverso l’arte. Occhi e mani che hanno creato capolavori, testimoniano il loro passaggio e la loro opera, raccontano come è cambiato il modo di rappresentarsi, le epoche in cui hanno vissuto, il loro personalissimo modo di essere. In realtà la collezione di autoritratti completa vanta 1750 opere – tra le quali moltissimi nomi contemporanei che per adesso trovano posto solo nelle mostre. Gian Lorenzo Bernini, Annibale Carracci, Francesco Primaticcio, Lavinia Fontana, Federico Barocci e poi i grandi maestri del Novecento come Ligabue, De Chirico, Manzù, Balla, Paladino, Fontana, Pistoletto, Carrà, solo per citarne alcuni, senza dimenticare importanti artisti stranieri sia del passato come Rembrandt, Reynolds, Ingres, Ensor, che del presente come Chagall, Rauschenberg, Joseph Beuys.
La collezione fu creata ufficialmente dal Cardinale Leopoldo ai primi anni ‘80 del Seicento, partendo da alcuni autoritratti della collezione familiare. La raccolta è cresciuta nel tempo, con i Medici prima e con i Lorena poi. Nel 1981, in occasione del quarto centenario della nascita degli Uffizi, l’allora direttore Berti - grande uomo oltre che attento studioso dell’arte - ne incrementò sensibilmente il numero chiedendo ad artisti famosi di donare un loro autoritratto.
Arrivarono anche molte offerte di donazione che furono prese in esame e rese concrete due anni più tardi, nel 1983, racconta l’attuale direttore. Molti di una bellezza struggente presi singolarmente - il volto blu di Chagall colpisce al cuore non meno dell’opera di Morandi che si dipinge asciutto come una delle sue nature morte - talvolta di lacerante ironia, il ritratto di Nicola Van Houbraken che squarcia la tela e sembra uscire dal quadro o l’Autocaffè di Balla, tutti acquistano forza nell’insieme. Passare attraverso questi occhi, quasi desiderosi di raccontarsi e di raccontare la loro epoca è un’emozione che mal si descrive, va provata almeno una volta.
La più recente acquisizione è quella di tre artisti contemporanei giapponesi che pur da questo paese ferito a morte non hanno voluto rimandare la possibilità di scrivere la loro pagina nel Corridoio. “L’autoritratto è l’unico modo per entrare nella collezione Uffizi per gli artisti viventi. Invitiamo noi gli artisti italiani a donare un’opera, mentre per gli stranieri ci affidiamo alla selezione degli istituti di cultura italiana nel mondo. Utilizzare il criterio della qualità e del giudizio personale del comitato che supervisiona le acquisizioni, sarebbe limitativo. Un artista ha valore quando rappresenta il suo paese” spiega ancora Antonio Natali. Se gli chiedi le occasioni mancate per la collezione, Natali sussurra:
“ Soffici, Modigliani”..